Nella Torino dell’Ottocento – tra anime giovani ferite e nostalgia di
Dio intuita – ha iniziato a brillare la sua stella, quella stella che
lo fece passare alla storia come il “santo dei giovani”. Tant’è che
oggi, nel mezzo di un contesto nel quale dell’educazione si parla come
di una sfida o di un’emergenza, si guarda volentieri a lui come alla
musa ispiratrice capace di farci vincere lo scoraggiamento della fatica.
“L’educazione è una cosa del cuore. Prima ama quello che i giovani
amano, poi essi ameranno quello che ami tu” – disse un giorno San
Giovanni Bosco, santo del quale dopodomani celebreremo la festa.
Oggi in molti dicono di amare i giovani, non tutti sono disposti ad
iniziare ad amare quello che i giovani amano per poi aiutarli ad amare
valori di portata gigantesca. Forse la differenza è che a don Bosco
mamma Margherita aveva insegnato bene l’arte di fare lo zabaione. Un
alimento molto buono e tutto sommato semplice da realizzare: uova e
zucchero. Ciò che lo rende speciale, però, è il tempo e l’energia che ci
vuole per mescolare questi due ingredienti fino ad ottenere quella
squisita crema che diventa la delizia di molti palati. Educare un
ragazzo alla vita buona è un po’ come fare lo zabaione: spendere un
sacco di energie per aiutarlo a tirare fuori il meglio di sé, ad aprire
gli occhi sulla straordinaria potenzialità ch’è nascosta in lui,
faticare per estrapolare dal marmo della sua esistenza quello splendido
capolavoro che vi è imbrigliato dentro. È un po’ come mescolare le uova
con lo zucchero: mescolare la vita del ragazzo con la vita di Dio, o di
quell’ideale di uomo e di donna verso il quale un educatore tende a
spingere la sua fatica educativa. Con un particolare tutto casalingo: le
mamme, nel mentre fanno lo zabaione, mescolando mettono anche in conto
di sporcarsi, tant’è che spesso le vediamo all’opera munite del loro
grembiule da casalinghe. Forse anche educare chiede di mettere in conto
di sporcarsi: lavorare con la libertà dell’uomo è lavorare in un
cantiere di frontiera, laddove il fascino dell’innamoramento chiede di
rischiare per rimanere fedeli ad un sogno. Per don Bosco i giovani non
sono mai stati un pacco postale su cui attaccare una destinazione e
collocarli su un nastro trasportatore: nelle strade di Torino insegnò
loro che “sveglio” è sì il contrario di “addormentato”, ma soprattutto
l’esatto contrario di “rassegnato”, proprio quel tipo di esecutore senza
fantasia che nessun datore di lavoro vorrebbe in nessun posto.
Oggi che la sfida dell’educazione sta chiedendo a tutte le agenzie
educative di mettersi in gioco per riaccendere nei giovani la passione
dei grandi ideali, l’avventura di don Giovanni Bosco ci può tornare di
ispirazione: i cuori nascono caldi, sarà l’indifferenza e la mancanza di
fiducia in se stessi che li raffredderanno. Riaccenderli sarà la sfida
di ogni educatore che, calandosi nell’abisso di tante anime giovani
ferite e annoiate, saprà con cuore e passione rimetterle in cammino
sciogliendo le loro incertezze. E dando loro la bella sensazione che la
loro storia di tutti i giorni – fatta di amori adolescenziali, di
emozioni assopite e di titubanze tutte giovanili – non è poi così
disprezzata dal buon Dio che, unico tra tutti, parte dalla loro
quotidiana esistenza per far risuonare in essi la nostalgia delle grandi
navigazioni.
Chissà se don Bosco sarà felice di sentirsi conficcato dentro qualche
capitello, ossequiato da menti festanti e devote. Immagino che
preferirebbe tornare ad abitare le strade polverose dove hanno la
residenza quei ragazzi che nessuno vuole. E riuscirebbe pure oggi a fare
di loro i protagonisti di un’avventura educativa meravigliosa. Perché
l’educazione non è una strategia, è rimasta ancor oggi una “cosa del
cuore”.
articolo tratto da http://www.sullastradadiemmaus.it

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