mercoledì 26 dicembre 2012

E’ Natale ogni volta
che sorridi a un fratello
e gli tendi la mano.
E’ Natale ogni volta
che rimani in silenzio
per ascoltare l’altro.
E’ Natale ogni volta
che non accetti quei principi
che relegano gli oppressi
ai margini della società.
E’ Natale ogni volta
che speri con quelli che disperano
nella povertà fisica e spirituale.
E’ Natale ogni volta
che riconosci con umiltà
i tuoi limiti e la tua debolezza.
E’ Natale ogni volta
che permetti al Signore
di rinascere per donarlo agli altri.

martedì 23 ottobre 2012

Jesus loves me




ORE 19.00 APERITIVO+
EAT AND DRINK NO ALCOOL | BODY PERCUSSION

ORE 20.00 “IO PARLO DI LUI”
TESTIMONIANZE | CANTI | DANZE

ORE 21.30 FUN-KEY-GROOVE
MUSICA D’ANIMAZIONE DAL VIVO


C/O CENTRO PARROCCHIALE
BUON PASTORE DI SOTTOMARINA

INGRESSO GRATUITO

TEL. 041400525
GIOVANICHIOGGIA@GMAIL.COM
WWW.GIOVANICHIOGGIA.BLOGSPOT.IT

sabato 20 ottobre 2012

Preghiera per l'amicizia

A te, Signore, amante della vita,
Amico dell'uomo,
innalzo la mia preghiera
per l'amico che mi hai 
fatto incontrare

sul cammino del mondo.
Uno come me, ma non uguale a me.
Fa' che la nostra
sia l'amicizia di due esseri
che si completano con i tuoi doni,
che si scambiano le tue ricchezze,
che si parlano con il linguaggio
che tu hai posto nel cuore.
Aiutaci a guardare con quello sguardo,
che comprende senza che l'altro chieda.
Aiutaci ad avere un cuore grande,
che sa partire prima che l'altro esprima.
Aiuta la nostra amicizia
Affinché non divenga chiusura;
dalle il respiro della vera libertà,
la forza di resistere nelle difficoltà,
il coraggio di andare oltre
il desiderio dell'egoismo.
La volontà di cedere per amore,
di amare anche oltre l'errore,
di giungere al sommo dell'amore: perdonare.
Perché soltanto quando si sa perdonare,
si può credere all'amore.
Fa' che le nostre mani
siano protese in un gesto di pace.
Fa' che le nostre parole
siano dolci ma anche forti.
Fa' che il nostro sorriso,
come le nostre lacrime,
non siano una maschera,
ma esprimano la profondità e la verità
dei sentimenti più sinceri e autentici.

(Chiara Lubich)

Io e Te




Ti ho visto fare il girotondo con quei bambini, sulla spiaggia.
Ti ho sentito nel mare, nel vento.
Ti ho guardato, crocefisso, con le braccia aperte per un abbraccio universale.
Ti ho perso, chiedendomi dov'eri, davanti alla foto di un bimbo di 5 anni, dilaniato dallo scoppio di una mina.
Ti ho chiesto perché gli uomini non ascoltano la tua voce, il tuo richiamo incessante.
Ti ho parlato, sperando di avere una risposta.
Ti ho urlato tutto il mio dolore e la rabbia, quando è morto mio nonno.
Ti ho sfidato dicendoti: «Tanto tu stai lassù!»
Ti ho chiesto aiuto, perché la mia fede è in crisi.
Ti ho sussurrato la mia gioia, in tutti i momenti belli.


E Tu…

...mi hai sorriso attraverso gli occhi dei bambini.
...mi hai ascoltata quando andavo verso il mare, nel vento, per stare con te.
...mi hai guardata dalla croce, donando il tuo sangue anche per me.
...mi osservavi e piangevi insieme a me per ogni morte innocente.
...mi hai spiegato che l'uomo è libero di fare le sue scelte, nel bene e nel male; libero anche di non ascoltarti.
...mi hai parlato, ma ti sei accorto che adesso ero io a tapparmi le orecchie.
...mi hai fissata, comprendendo fino in fondo alla mia anima il dolore di aver perso una persona amata.
...mi hai perdonato con un abbraccio la mia presunzione e mi sono resa conto che non c'è stato un attimo della mia vita in cui tu mi abbia lasciata sola.
...mi hai aiutata non in un solo modo, ma in 100 modi diversi.
...mi hai sussurrato la tua gioia per tutti i miei momenti belli.

                                                                            
 Mi hai amata...

giovedì 30 agosto 2012

Dall'incontro nazionale 2012...

Radicate nella carità, inserite nel mondo 
 
Centotrenta consacrate provenienti da 52 diocesi italiane, da Malta e dalla Germania hanno partecipato, all’annuale Incontro nazionale dell’Ordo Virginum, che si chiude oggi a Mazara del Vallo nel Trapanese. Il percorso tematico ha focalizzato l’attenzione su Cristo Re ed è stato sviluppato a partire dalla riflessione liturgica, biblica e morale offerta da noti relatori della terra di Sicilia. Valeria Trapani, liturgista, ha analizzato il tema del sacerdozio regale, comune a tutti i fedeli in virtù del Battesimo, inquadrandolo nella vita della vergine consacrata. Benché nel rito della Consecratio virginum non vi siano elementi espliciti che riferiscano sulla dimensione regale, tuttavia essi si deducono dalla struttura del rito stesso, parallelo in alcuni elementi formali (processione introitale, interrogazioni, prostrazione…) al rito di ordinazione presbiterale. Ciò comporta una riqualificazione del modus celebrandi, che attiva la responsabilità pastorale e l’azione quotidiana. Il biblista Tony Caronna ha indicato nel passaggio dalla sequela alla testimonianza la dimensione regale del credente, che si attua mediante l’offerta di sé come sacrificio spirituale. Così l’uomo diventa strumento di santificazione, perché «portatore di Dio nella storia e luogo antropologico del darsi di Gesù Cristo».

Don Antonio Parisi, docente di teologia morale, ha ribadito che la vita morale cristiana si fonda sulla conoscenza esperienziale di Cristo, sorgente di ogni salvezza; essere suoi annunciatori vuol dire «liberarsi da pregiudizi e condizionamenti, crescere nella consapevolezza della propria identità per esercitare la regalità nell’impegno di cambiare il mondo». Numerosi vescovi siciliani hanno preso parte dall’Incontro nazionale dell’Ordo Virginum, presiedendo diversi momenti liturgici. Il cardinale Paolo Romeo ha invitato le vergini a essere donne radicate nella carità e pienamente inserite nel mondo, rompendo le barriere che relegano la vita consacrata nell’ambito privato e intimistico, impedendo il lieto annuncio del Vangelo. Annuncio che passa attraverso la carità, secondo il vescovo di Mazara del Vallo, Domenico Mogavero che ha definito le consacrate «ancelle delle nostre Chiese particolari», capaci di chinarsi, come il buon Samaritano, sulle ferite umane. Esse sono a disposizione di Dio, secondo l’arcivescovo di Monreale Salvatore Di Cristina, «espressione profetica della purezza che non attende niente dal mondo» e si proietta nel futuro di Dio, che è pienezza di vita e di vita eterna. Alla luce del pensiero di sant’Agostino, il vescovo di Piazza Armerina, Michele Pennisi ha definito la verginità come «libero atto di amore», custodita dalla carità e «splendida espressione della Chiesa».

Singolare e concreta è stata la testimonianza sull’interculturalità di Papas Jani Pecoraro, parroco e vicario generale dell’eparchia di Piana degli Albanesi, che ha presentato l’esperienza della Caritas nella sua diocesi, i limiti e le caratteristiche del volontariato. In seguito le suore francescane di Maria hanno condiviso la loro esperienza di accoglienza di giovani tunisini nella Casa della Speranza di Mazara. Come negli anni passati, si è dedicata particolare attenzione alle partecipanti in formazione o interessate all’Ordo Virginum, offrendo loro la possibilità di un percorso formativo adatto alle loro esigenze, attraverso il gruppo di primo approccio. Un momento di condivisione ha visto il racconto dell’Ordo Virginum di quattro diocesi italiane (Nicosia, Pavia, Sorrento-Castellammare di Stabia, Piazza Armerina) della loro storia, letta come segno tangibile della presenza di Dio nell’oggi della storia. (Gr.Coll.)
 
dal quotidiano Avvenire 29 agosto 2012

sabato 18 agosto 2012

TUTTO L'AMORE CHE CI SERVE


  

All you need is love, cantavano i Beatles con mirabile sintesi (come tutte le belle canzoni sanno fare).
L'amore è tutto quello di cui hai bisogno. Sì, ma quale amore? Quello del proprio compagno, marito? Dei figli? Per la natura? O verso il proprio cane? Ma c'è anche l'amore per la casa, per il lavoro. Quello per il prossimo. Per Dio. Ci sono tante forme di amore. Potreste chiamarlo con parole diverse: affetto, passione, cura, dedizione. Ma è sempre amore.
Non è forse amore quello che ti fa sporcare le mani di terra per creare quel balcone fiorito che in primavera ti invidiano tutti? O che ti fa alzare tutti i sabato mattina all'alba per andare in ospedale, metterti un naso rosso e fare il pagliaccio con i bambini malati di tumore? Vi assicuro che è amore pure quello che ti fa arrivare in ufficio sorridente e con la consapevolezza che neanche questa volta la tua collega antipatica riuscirà a farti arrabbiare.
Love,love,love,love,love...i Beatles lo ripetono mille volte. ma se l'ascoltate tutta, la loro canzone non è una canzone d'amore in senso classico. E,' piuttosto, una lezione di vita in forma di filastrocca. Dice che That's nothing you can do that can't be done: non c'è niente che puoi fare che non possa essere fatto; No one you can save than can't be saved: nessuno da salvare che non possa essere salvato.
L'amore fa fare qualsiasi cosa. L'amore salva tutti. Perchè è una potenza irresistibile, micidiale, spesso insensata, sempre irrazionale. Non serve capirlo: "Non sono un uomo intelligente, ma conosco l'amore" dice Forrest Gump. E lui, amando, fa grandi cose.
Certo, l'amore o c'è o non c'è. Quante persone aride, calcolatrici, opportuniste e false conoscete? Tante, troppe. Hanno perso la capacità di amare. O non l'hanno mai avuta. C'è troppo poco amore in questo mondo. Sprechiamo, buttiamo le cicche per terra, non conosciamo i nostri vicini di casa. Rubiamo, facciamo i furbi. Accettiamo di vivere in quartieri invivibili. Non abbiamo più la forza di indignarci, nè siamo più capaci di provare vergogna. E' perchè non amiamo abbastanza e non ci vogliamo più bene. Gli inglesi usano il verbo to care: avere a cuore. Descrive un amore che abbraccia le persone e le cose, che ha cura, che si cura di te, di noi, di tutti. E ciascuno ha diritto di avere la propria classifica di affetti. L'importante è che li abbia, gli affetti: che abbia qualcuno da amare. 
L'amore è contagioso. Di amore non ce n'è mai abbastanza. E spesso basterebbe solo quello. 
Cari vecchi Beatles, avete ragione: Love is all we need.

dall'editoriale di Donna Moderna
scritto da Alessandra Beltrame
22 agosto 2012 num.34

giovedì 12 luglio 2012

“Mi hai chiamato: eccomi, Signore”





È così che ho risposto, con gioia ed emozione, venerdì 6 luglio durante la Santa Messa in cui, nelle mani del Vescovo Adriano, ho detto di sì a Dio e alla Chiesa nel rito della professione temporanea nell’Ordo Virginum.
Nella Chiesa della Beata Vergine di Lourdes, accompagnata dai miei famigliari e dagli amici, dai sacerdoti presenti, dalla comunità della Cattedrale e dalle tantissime persone presenti, ho letto ad alta voce il mio proposito di consacrarmi a Dio.
Dopo le interrogazioni del Vescovo, ho detto il mio sì e mi sono impegnata facendo voto, per un anno, di castità, povertà e obbedienza, seguendo la regola e lo Statuto dell’Ordo Virginum della diocesi di Chioggia.
Il Vescovo poi, mi ha consegnato l’anello, come segno visibile della mia consacrazione nuziale con Gesù.
L’abbraccio di pace con il vescovo e quello con i miei genitori, hanno fatto uscire tutta l’emozione e la gioia che sentivo dentro il mio cuore. E con il canto di ringraziamento ho detto il mio grazie a Gesù per tutto ciò che mi stava donando in quel momento.
 Un’emozione ed una gioia che mi hanno fatto capire quanta felicità si prova nel trovare la strada giusta per la propria vita, quanto bello è donare la propria vita.
Con una sola parola, con quel sì, detto con gioia, ho reso concreto il mio essere innamorata di Gesù! In quel sì gli ho detto quanto bello e coinvolgente è sentirmi amata da Lui e amarlo con tutta me stessa, fino ad essere tutta Sua!
È stato davvero bello sentirmi circondata da così tante persone, da tutti coloro che mi hanno accompagnata, sostenuta e incoraggiata in questo cammino. Ringrazio la mia famiglia e i miei genitori, i miei amici che hanno reso così bella la celebrazione anche con i canti e tutte le perosne, che in vari modi, mi hanno dimostrato il loro affetto.

Alessandra


domenica 8 luglio 2012

Consacrazione temporanea

Alessandra prosegue il cammino 

nell’Ordo Virginum

Venerdì 6 luglio nella chiesa B. Vergine di Lourdes la consacrazione temporanea

AlessandraIl Signore ama la sua Chiesa. È proprio vero: il Signore ha stretto un’alleanza con essa che non ritratterà mai. La nostra speranza si radica anche qui, nella certezza del suo amore eterno. Eppure questa verità spesso viene offuscata da una testimonianza poco credibile o da una prassi incapace di comunicare la propria identità. C’è però un segno reale, concreto, tangibile che esprime bene questo sposalizio tra l’umanità e Dio, tra il popolo e il suo Re, tra lo Sposo e la sposa: è la consacrazione femminile. Sono molte le donne che esprimono con la loro vita queste nozze, mistiche e reali: entrano a far parte di una Congregazione religiosa, nel Carmelo come monache, nelle varie forme all’interno dei movimenti e infine nell’Ordo Virginum. È il
gruppo di donne che si consacrano a Dio legandosi strettamente alla diocesi attraverso il loro vescovo e mantenendo il loro impegno nella vita sociale con il lavoro e la propria abitazione. Alessandra ha fatto questa scelta e il 12 maggio 2011 durante la veglia di preghiera in occasione della Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni (foto ), ha chiesto al vescovo Adriano di iniziare questo cammino intrapreso già due anni prima. La risposta affermativa del vescovo l’ha incoraggiata a continuare e venerdì 6 luglio, nella festa di Santa Maria Goretti, nella chiesa della Beata Vergine Maria di Lourdes, alle ore 20.45 farà solennemente la sua prima professione temporanea e con la consegna dell’anello dirà pubblicamente la bellezza del suo fidanzamento. Sarà per lei motivo di preghiera, crescita, discernimento, lavoro, studio, in preparazione alla consacrazione solenne che la vedrà per sempre sposa di Cristo, a servizio della chiesa che abita le terre della diocesi clodiense. I suoi amici la sosterranno nella liturgia con il canto, parenti e familiari nella vicinanza e nella preghiera, tutti noi con la fiducia e la certezza che in lei il Signore ha fatto cose grandi.  
 (don Damiano Vianello)


da NUOVA SCINTILLA 26 del 1°luglio 2012

domenica 22 aprile 2012

Rispondere all'amore si può...testimonianze ed esperienze di vocazioni

Rispondere all’amore si può. Lo stupore dell’incontro 

Le riflessioni del vescovo Adriano Tessarollo. L’amore, coniugato con la dignità e la libertà

damiano poster-2012 ‘Rispondere all’amore!’. Cosa vuol dire rispondere all’amore? Quando uno si sente amato? Basta che uno ti mostri simpatia per dire che ti ama? E se ad un certo punto la simpatia passa, finisce l’amore? Basta che uno ti inviti ad una festa perché si possa dire che ti ama? Basta che un uomo o un donna ti proponga una temporanea avventura sentimentale per dire che davvero quello è amore? Accettare quella proposta significa rispondere all’amore?
Io penso che l’iniziativa di amore sia proposta incondizionata di unire la tua vita a quella dell’altro, senza condizioni, senza misurare se l’altro, come un paio di scarpe, ti calza bene, se non ti stringe in alcun modo. Con le cose si può prendere come criterio quello del ‘mi piace’ e ‘finché mi piace’, altrimenti le butto e le cambio. Non così con le persone. E Dio tratta da persone coloro che chiama, rispettandone la dignità e la libertà. Nella Bibbia abbiamo diverse persone che raccontano di come si sono sentite ‘amate’ dal Signore e di come essi hanno risposto alla sua proposta d’amore. Questi racconti sono solitamente definiti ‘racconti di vocazione’. Ne ascoltiamo uno:
“Prima di formarti nel grembo materno, ti ho conosciuto, prima che tu uscissi alla luce, ti ho consacrato;
ti ho stabilito profeta delle nazioni". Risposi: "Ahimè, Signore Dio! Ecco, io non so parlare, perché sono giovane". Ma il Signore mi disse: "Non dire: "Sono giovane". Tu andrai da tutti coloro a cui ti manderò
e dirai tutto quello che io ti ordinerò. Non aver paura di fronte a loro, perché io sono con te per proteggerti". (Ger 1,5-8).
Un giovane di nome Geremia, dopo che da qualche anno aveva svolto la missione di portatore della Parola di Dio tra la sua gente (profeta), entra in crisi e non vorrebbe più continuare. Quella missione gli sta procurando fastidi, rifiuti e persecuzioni vere e proprie da parte della gente cui si rivolgeva, persino da parte dei suoi familiari. Quante notti ha passato per maturare una scelta e dire: “"Non penserò più a lui, non parlerò più nel suo nome!" (Ger 20,9). Ma ecco che mentre medita queste cose si accende nel suo cuore una luce che lo porta a comprendere in profondità ciò che ha vissuto finora e che ora sta vivendo. Perché ha fatto quella scelta? È stata una sua iniziativa, che ora decide di abbandonare? Ecco come il Signore gli fa comprendere la sua scelta: “Prima di formarti nel grembo materno, io ti ho conosciuto, prima che tu uscissi alla luce, io ti ho consacrato; ti ho stabilito profeta delle nazioni". Ma guarda un po’! È stato Dio che mi ha scelto, che mi ha destinato a questa missione, che mi ha fatto suo portavoce, fidandosi di me, ancora giovane e neanche tanto buon parlatore! Però egli ha sentito tutta la forza rassicurante di Dio a fronte del compito che gli affidava: “Non aver paura di fronte a loro, perché io sono con te per proteggerti". Geremia ha capito dunque che quella ‘chiamata’ era per Dio stesso un impegno a ‘stare con lui’ in ogni nuova situazione bella o brutta che avesse incontrato. L’amore di Dio è proposta che manifesta fiducia, stima, coinvolgimento, offerta di compagnia, sostegno, fedeltà. Tutta questa fiducia e amore offerti ancora prima di essere ‘provati’ desta certamente sorpresa e stupore. Il giovane Geremia risponde: “"Ahimè, Signore Dio! Ecco, io non so parlare, perché sono giovane". Ma ecco la sua risposta a quell’atto di fiducia e di amore: “Mi hai sedotto, Signore, e io mi sono lasciato sedurre (20,7); Quando le tue parole mi vennero incontro, le divorai con avidità; la tua parola fu la gioia e la letizia del mio cuore…” (15,16)
Anche una ragazza di Nazaret, di nome Maria, di fronte alla inattesa dichiarazione di stima e d’amore del Signore “Rallégrati, piena di grazia: il Signore è con te… Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio" (Lc 1,28-30) e all’impensabile proposta: “Ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù” (Lc 1,31), rimane stupita e meravigliata. Ma anche la sua risposta è stata: “Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola" (Lc 1,38).
Vocazione è incontrare il Signore, come Samuele, come Isaia ecc… Come gli Apostoli, come san Paolo… e sentirsi scelti e inviati perché amati. Ma vocazione è insieme rispondere, se pur stupiti della proposta, al suo amore, contando fortemente su quell’amore, come scrive san Paolo: “So infatti in chi ho posto la mia fede e sono convinto che egli è capace di custodire fino a quel giorno ciò che mi è stato affidato”(2 Tm 1,12).
Anche oggi a ragazzi, ragazze, giovani e adulti il Signore continua a proporsi e a proporre l’amore da vivere in tanti modi. Speriamo di non meritare anche noi i rimproveri, ricordati dai profeti Isaia, ”Io avevo chiamato e nessuno ha risposto, avevo parlato e nessuno ha udito”(Is 66,4), e Geremia, “Ho parlato loro e non mi hanno ascoltato, li ho chiamati e non hanno risposto" (Ger 35,17).
Apriamo allora senza paura orecchi e cuore al Signore che chiama e rispondiamo al suo amore.
Egli ci stupirà!
Saluto e benedico tutti.
+ vescovo Adriano Tessarollo

Uno sguardo singolare
damiano Spiritualita-Icona-2009 Volti e sguardi nuovi perché illuminati da Gesù Risorto, che sanno accogliere la vita come dono non perché sono bravi ma perché con semplicità riconoscono le grandi opere di Dio, che si lasciano stupire dall’inatteso che travolge la loro esistenza e chiede coraggio e follia nella risposta, che non temono le scelte creative perché sono artisti nati, che sanno dire di Sì a Dio Padre nella forza dello Spirito e alla sequela di Gesù che li ama divinamente. Affascinanti da uno sguardo singolare, unico, personalissimo; sorpresi da una gratuità che non ha paragoni. La notte di Pasqua il volto di Marco era trasfigurato durante l’incessante susseguirsi dei riti liturgici e con mano si è toccata la grazia di Dio che irrompe e trasforma, illumina e rasserena. Coloro che hanno accolto la chiamata di Dio e sono stato scelti da lui per stare con lui nelle molteplici forme della vita ministeriale ordinata, della vita consacrata e della famiglia cristiana, hanno una luce in più che arde nei loro volti e nelle loro vite: è la luce di Cristo che abita in loro nella forza dello Spirito e con la benevolenza del Padre. Celebrare la Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni significa ridire ancora una volta quel Sì che ha cambiato la nostra vita e nel ridirlo la trasforma ulteriormente pur rimanendo sempre lo stesso. Nella IV domenica di Pasqua il popolo cristiano testimonia al mondo che Cristo abita la sua Chiesa e la supera nei confini universali: tutta la chiesa raccolta nella celebrazione dell’Eucaristia spezza il pane della speranza e la porta nel mondo, quali tabernacoli vivi e credibili di amore possibile. Per questo la preghiera si fa più incessante perché tutti e in particolar modo i giovani, possano scoprire quel volto di Cristo che si manifesta nei mille e mille volti che incontriamo ogni giorno e che spesso ci lasciano turbati: Sì, è lui, è lui che soffre, che gioisce, che piange, che si dispera, che chiede aiuto e lo dona, che si fa corpo con coloro che l’hanno trafitto, che si affianca a coloro che sono nella solitudine, che prende per mano coloro che hanno chiuso braccia e cuore alla speranza. Sì, è lui. I discepoli storditi davanti a quel volto sempre affascinante e sempre diverso temevano di chiedere chi fosse quell’uomo perché sapevano che era lui. Anche a noi oggi, in questo giorno particolarissimo, viene offerta la possibilità di incontrarlo, di sederci a mensa con lui, di lasciare ardere il nostro cuore nell’ascolto delle Scritture. Il Regno di Dio è qui.
(don Damiano Vianello)
  
Chi sei, Gesù?
damiano Eucaristia C’è un vangelo al quale sono particolarmente legato: è la chiamata dei primi discepoli. Certo è facile scrivere una testimonianza vocazionale partendo da un vangelo di chiamata, dove è Gesù che agisce, che si muove, che parla ed è subito talmente attraente che questi poveri pescatori lasciano tutto e lo seguono. La versione di Luca (Lc 5,1-11) ha però una particolarità nella figura di Pietro e negli atteggiamenti di Gesù. Sicuramente più volte Pietro si sarà chiesto chi fosse questo sconosciuto che forse di pesca capiva poco, visto che gli chiede di gettare le reti di giorno dopo che la notte è stata scarsamente produttiva. Certamente gli avrà dato pure fastidio, gli costava fare quello che gli chiedeva. E sicuramente se lo sarà chiesto anche dopo aver visto quella pesca così copiosa…, miracolosa appunto. La prima tentazione davanti ai gesti e alle parole di Gesù è di sentirsi il cuore infiammare ma anche di sentirsi tanto lontani da Lui: Pietro cerca di allontanarlo guardando miseramente alla sua condizione di peccatore, Gesù lo invita ad una vita impegnata nel donarsi agli altri proprio a partire dal suo essere. Il difficile di una risposta vocazionale sta proprio lì, in quel passaggio: non avere paura di Gesù, perché ti chiama a partire dalla tua vita (“ti farò pescatore di uomini”) e dalla tua fragile condizione di fede (i discepoli quante volte chiederanno a Gesù di aumentare la loro fede)… Tu dagli il tuo primo passo, quella seppur piccola fiducia che ti fa scendere dalla barca delle tue sicurezze e ti porta a seguirlo lungo strade incerte, sapendo che è lui che fa strada. Penso sia il percorso vocazionale di tutti, quello di chiedersi chi sia Gesù e di capire perché proprio tu sei chiamato (“Ma non c’era di meglio in giro? Sei proprio disperato se chiami me?”), ma il percorso prosegue dopo aver riconosciuto quanto di grande ha operato nella tua vita se tu hai il coraggio di gettare le reti e di andare al largo (o meglio in profondità). Poi i passi successivi sono più semplici perché c’è quella spinta iniziale di accorgerti che prima di tutto sei stato scelto. Un tempo anch’io pensavo fossero belle parole che facevano tanto colore ed emozione, scritte da chi cercava di farti vedere belle tutte le cose. Invece, è proprio così. La consapevolezza che Gesù passa realmente ogni mattino sulla riva del mare della nostra vita e forse chiede anche a noi di scostarci un po’ per avere un rapporto più immediato con Lui. Chiede anche a noi di gettare le reti: chiede il nostro tempo, la nostra fiducia, l’ascolto della sua Parola, il servizio a favore degli altri.
(don Paolo De Cillia, religioso salesiano)

La gioia del sì per sempre
damiano Foto sito GMPV 2012 Ognuno di noi, prima o poi, sente dentro di sé un bisogno di amare e allo stesso tempo di essere amato e non si ferma di cercare attorno a sé fino a quando non è riuscito a trovare dove e come questo bisogno può essere colmato. Il bisogno di amare è un desiderio che ti nasce dentro e che ti spinge, in tutti i modi, a cercare di capire come fare per trovare una risposta che lo possa colmare. E così ho iniziato a cercare. Guardandomi attorno, facendo attenzione a persone e avvenimenti, che fino a poco prima sembravano banali. In modo inaspettato, un po’ alla volta, la mia attenzione e il mio cuore si sono fermati su una persona, un amico ed è nato un sentimento nuovo, improvviso e sconvolgente, mi sono innamorata. Il mio bisogno aveva trovato lì, in quel sentimento, la sua risposta, mettendo da parte tutto il resto. Mi sentivo felice, piena di gioia e finalmente i miei sogni e le mie speranze si stavano realizzando. Era tutto quello che avevo sempre sognato. Un po’ alla volta però, questo mio bisogno di amare si è scontrato con il bisogno, ancora più forte, di essere amata, di ricevere in cambio quell’amore e quel sentimento che io provavo dentro di me. Questo però non è successo, la gioia e la felicità hanno lasciato il posto alla tristezza e al dolore. Allora ho iniziato a chiedermi se la risposta a questo bisogno, che si faceva sentire sempre più forte e intenso, non fosse questa ma la dovessi cercare da un’altra parte. Ho iniziato a chiedere, a cercare la risposta a tutte le domande che mi nascevano dentro, e davanti a me si sono aperte tante strade. Fra tutte queste strade, da lontano, si vedeva ancora sfocata anche quella che portava a Dio. E allora è stato in quel momento che oltre alle domande sono iniziati a farsi sentire anche i dubbi, le ansie e le paure. La prima cosa che ho cercato di fare è stata quella di allontanarmi da questa strada, di cercare di ripercorrere quella precedente, con tutti i rischi e le incertezze che conteneva. Ma, un po’ alla volta, dentro di me, quella strada non mi bastava più, ciò che mi dava non era quello che cercavo, mi serviva qualcosa di più. Ed ecco lì che c’era la strada che portava dritta a Dio, che mi chiedeva di donare a Lui la mia vita. Quella strada era lì, da scoprire e pronta per me. Ho capito allora che Lui mi stava chiamando, che voleva che seguissi quella strada, che mi voleva tutta per Lui, nonostante i miei dubbi e le mie paure. Lui mi stava chiamando, io non gli ho risposto subito, Lui mi ha aspettato con pazienza fino a quando gli ho detto di sì! Mi sono voltata indietro, riguardando ancora una volta ciò che avevo e sentivo prima, ho ripensato ai miei sogni e alle mie speranze, ho guardato davanti a me, alla strada che iniziavo a percorrere e mi sono accorta che era tutta un’altra cosa! I sogni e le speranze, ora, sono ben diversi! Lì, in quel sì detto a Dio, ho trovato la risposta che tanto cercavo. Il mio bisogno di amare e di essere amata, ora, si è realizzato. Ho cominciato a guardare tutto e tutti con occhi diversi, a guardare Lui con occhi nuovi e pieni di stupore. A restare sorpresa e piena di meraviglia anche per le piccole cose e le più semplici. E dentro di me è nato quel sentimento di profondo amore che ti travolge e conquista, che mi fa sentire amata e allo stesso tempo innamorata intensamente! Gli ho detto di sì. Un sì detto con amore e con gioia. Un sì che riempie tutta la mia vita. Una gioia che si fa fatica a contenere, perché la vorrei far sentire a chi mi sta vicino. Una gioia che si fa più forte e intensa ogni volta che sono con Lui. Un sì detto con tutta la gioia e l’amore, ma, soprattutto, detto per sempre.
(Alessandra Agatea, in cammino nell'Ordo Virginum)

 Gesù è anche lì
Suor_Antonella_in_Burundi_1_BN La vocazione missionaria è realizzare il mandato di Gesù che invita ad andare con fiducia, sulla strada del Vangelo fino agli estremi confini della terra, con la certezza nel cuore che Egli sarà sempre presente. Questa convinzione profonda mi ha sostenuto in tutti questi anni nelle diverse esperienze missionarie in Messico, Papua Nuova Guinea e ora in Burundi. Il Signore è sempre stato al mio fianco e l’ho incontrato nei momenti belli che ornano la vita del missionario ma anche nelle fatiche, nelle difficoltà, nei momenti di scoraggiamento, che mi hanno fatto toccare con mano la verità che solo accogliendo il sacrificio per amore si può dare fecondità alla nostra testimonianza. Morire a se stessi è l’esercizio quotidiano per imparare ad amare con il cuore di Dio che da ricco si fece povero per arricchirci con la sua povertà. La mia vita di ogni giorno è fatta di esperienze semplici, ma essenziali nelle quali posso cogliere tutta la bellezza di un Dio che si fa presente nei sorrisi dei bambini, nei loro sguardi limpidi, innocenti, seppure segnati dalla sofferenza e dalla povertà, nella gente lungo le strade, nella generosità del povero che condivide il poco che ha. Ma il volto sofferente di Gesù l’ho trovato anche nei carcerati di Gitega, tutti ammassati in uno spazio ristretto e in condizioni burundi_178 disumane, nella donna rimasta sola e che a fatica riesce a sfamare i suoi figli, nei bambini lasciati a se stessi, nell’anziano ammalato che muore nella sua casetta senza alcuna assistenza. Se non ci fosse la forza che viene dal Vangelo quale speranza potremmo comunicare a questi fratelli? A volte ho sperimentato tutta la mia inadeguatezza per rispondere a tante necessità, ho avuto anche la tentazione di ribellarmi di fronte a tante ingiustizie, ma nella preghiera ho trovato la forza per stare di fronte a tanta sofferenza cercando di trasmettere gesti di amore che aiutino a sentire concretamente che Dio non abbandona nessuna delle sue creature.
Frequentando i poveri ho ricevuto moltissimo e mi sento debitrice verso tanti fratelli che ho incontrato in questi anni di missione perché mi hanno aiutata ad andare sempre oltre: aldilà della mia indifferenza per aprirmi a una relazione più vera con ogni fratello; aldilà del mio egoismo per scoprire la bellezza del dono condiviso; aldilà delle mie paure per vivere la libertà che ti fa stare bene ovunque senza limiti di cultura, razza, lingua, in una fraternità universale.
Nella vocazione missionaria mi sento realizzata come donna e come consacrata e ringrazio il Signore che mi ha scelta, nonostante la mia piccolezza, per essere un segno del suo amore tra i fratelli.
(Sr M. Antonella Zanini, Serva di Maria Addolorata di Chioggia, Missionaria in Burundi)

 “Tutta sua”
suora Mi è stato chiesto di condividere per iscritto la mia risposta all’Amore. Cerco di farlo, anche se le parole riescono ad esprimere poco l’esperienza del mio rapporto col Signore.Sono una suora Serva di Maria Addolorata. La mia chiamata alla vita religiosa è avvenuta in modo molto ordinario, non ho avuto una conversione straordinaria e nemmeno ho vissuto una vita esemplare prima che la chiamata arrivasse. Ero una comune ragazza che frequentava la chiesa.
Ma un sogno si è insediato in me ancora bambina, all’età di sette anni, quando per la prima volta conobbi due suore. Il loro modo di vestire ha suscitato la domanda in me del perché vestire così? L’ho chiesto a mio papà, la sua risposta è stata: “Significa che tutta la loro persona è donata a Dio e Dio può operare attraverso loro”. In quell’anno feci la mia prima comunione e ho chiesto a Gesù, nella mia ingenuità, che mi facesse sua per sempre. Col passare degli anni, soprattutto nell’adolescenza, ho cercato di allontanare da me un tale pensiero.Comunque a 16 anni, il sogno di essere tutta per Gesù e per i poveri è ritornato a me con grande forza, quando lessi una piccola biografia di santa Teresa del Bambino Gesù e del Santo Volto e vidi, in televisione, un servizio su madre Teresa di Calcutta, ancora in vita. Volevo una vita così piena di significato. Avevo da poco cominciato un rapporto con un ragazzo del gruppo parrocchiale e compagno di scuola, ma non potevo più sognarmi felicemente sposata, pur volendogli bene. Ho condiviso con lui questa inquietudine che apriva una breccia nel mio cuore, lui mi ha detto che nel momento in cui fossi stata sicura di quel che volevo, lui avrebbe rispettato la mia decisione; ma la scelta tra lui e Gesù era difficile, per cui il Signore ha deciso di darmi una mano, e per motivi di studio lui ha dovuto trasferirsi a un’altra città. Così, dopo questo periodo di silenzio affettivo, ho potuto discernere meglio la mia vocazione grazie anche all’aiuto delle suore Serve di Maria che conoscevo da due anni. Al suo ritorno ho manifestato la mia scelta per Gesù e la sua riposta fu: “Contro Lui non si può competere”, e il suo abbraccio fraterno mi ha animato a proseguire in questa decisione. Che devo dire? Il mio sì, da allora, devo ripeterlo giorno dopo giorno. Quello dei 17 anni è stato solo un primo sì, ma se non lo ripeto ogni giorno, soprattutto quando non capisco quello che mi chiede, a niente varrebbe il primo sì. Il mio sogno continua ad essere quello di essere tutta sua: possibilità e debolezze, pregi e limiti, gioie e dolori, e Maria è il mio modello. Nel mio cammino si sono presentate, e si presentano ancora, voci che mi suggeriscono che il mio sogno è ridicolo, cose d’altri secoli; ma la mia fiducia in Lui non viene meno, Lui ha fatto in me grandi cose, così piccola, povera e peccatrice come sono, e quel che a me non è possibile a Lui sì, e io mi fido. La sua pace non è paragonabile a gioie di questo mondo, pur essendo anche queste doni suoi.
 (Sr M. Ada Nelly Velázquez Escobar, Serve di Maria Addolorata di Chioggia)

 Un rapporto di coppia a tre: l’unità che salva
matrimonio_mani «Non anime gemelle, ma una cosa sola». È quello che ci ripeteva un sacerdote che ci seguiva quando facevamo parte di un gruppo di giovani e giovanissimi. Ricordiamo che in quelle occasioni raccoglievamo medicinali da spedire in Africa, oppure organizzavamo delle raccolte fondi per bambini gravemente malati. La nostra gioventù insomma è sempre stata assistita da una presenza che si manifestava in modi diversi: potevamo riconoscerla negli occhi degli anziani ai quali tenevamo compagnia, nei bambini che assistevamo, ma soprattutto negli occhi dell’altro. Non siamo mai stati dei fidanzati modello, i litigi non siamo mai riusciti ad evitarli, persone così diverse ma così bisognose dell’altro. È questo che fin dall’inizio abbiamo sentito: una irrefrenabile necessità l’uno dell’altro. Il nostro sentimento era ancora acerbo, ci mancava qualcosa. «Vuoi sposarmi?» è la domanda che oltre trent’anni fa Felice mi ha posto. Ero poco più che una ragazza, ma non ho esitato a dirgli sì. Non avrei mai potuto sapere fino a dove quel “Sì” ci avrebbe portato. Per entrambi è stato come imbarcarci su una nave, dove al timone non ci sarebbe stato né lui né io, ma una nuova essenza. Abbiamo deciso di suggellare il nostro amore davanti al Signore in un soleggiato giorno di gennaio. Sembra davvero ieri e invece ci accorgiamo che è passato qualche anno di più guardando i volti delle nostre figlie ormai diventate delle giovani donne, i nostri capelli bianchi che ormai non si contano più. Tuttavia i nostri cuori battono ancora all’unisono come quel giorno e riusciamo ancora a stupirci quando guardandoci negli occhi, senza bisogno di parlaci, capiamo già cosa prova l’altro e di cosa ha bisogno.
sposalizio
Il dono dell’unione
È in questo senso che possiamo dire di aver avuto la fortuna e la gioia di aver incontrato Dio. Eravamo là davanti a Lui quando ci siamo scambiati le promesse, forse non sapevamo veramente che da quel giorno avremmo camminato in tre. Abbiamo sempre considerato il matrimonio come il punto di partenza per una nuova vita, dove non sarebbe più esistito un “io”, ma dove tutto si sarebbe evoluto in una pura e semplice comunione, una condivisione che parte dalla quotidianità fino ad arrivare ai meandri dello spirito e raggiungere un senso di completezza. Ancora oggi se ci chiedono quale sia il segreto di un matrimonio felice e duraturo, rispondiamo l’unione. È questa l’unica vera ricetta per una relazione stabile, in quanto le sfide alle quali la vita può sottoporre due coniugi sono infinite e una più dura dell’altra. Solo rimanendo uniti siamo riusciti a superarle. Non è stato facile, in certi momenti, poiché lo sconforto e la tristezza sono sempre dietro l’angolo, pronti a prendere il sopravvento sulla luce, ma bastava invocare il Suo aiuto per non sentirci soli. Il nostro primo obiettivo è sempre stato quello di non escludere mai Dio dalla nostra vita. Eppure a volte ci siamo trovati anche noi a gridare al cielo “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”. Davanti ad alcune difficoltà non siamo riusciti a trovare subito una spiegazione, né a vedere il volto di Cristo, ma ci siamo lasciati andare allo smarrimento e a un’umana delusione. La nostra prima “croce” è stata pesantissima da portare, al momento non ci credevamo pronti. Una sofferenza umana, troppo umana, poiché non abbiamo saputo capire che solo attraverso le sofferenze la fede si rafforza. Solo il credere in Dio con tutte le nostre forze ci ha permesso di guardar oltre i limiti della ristrettezza umana, secondo la quale la morte è la fine di tutto. In cuor nostro abbiamo trovato la forza di vederla come il principio: le nostre future figlie non sarebbero mai state sole, ma sarebbero sempre state protette da un piccolo angelo. Passo dopo passo ci siamo resi conto che il matrimonio è uno dei misteri più grandi in quanto questa unione attraverso mille e più avversità non fa altro che unirci più di prima. Così possiamo dire che per noi questo sacramento è stato ed è tuttora il collante della nostra vita di coppia. È stata una vera e propria alleanza che abbiamo stretto, una fusione eterna, sempre insieme, in una continua comunione anche nella tempesta della vita.
Il dono delle figlie
Non solo di un “noi” è fatto un matrimonio, ma soprattutto di un “loro”, ovvero i figli. Se già rimaniamo stupiti davanti al mistero dell’eterna unione, ancora di più lo siamo quando pensiamo al dono più grande della nostra vita. Indescrivibile l’emozione che abbiamo avuto nel vedere la prima ecografia e nel sentire i primi calci. Come non ricordare la prima volta che abbiamo tenuto tra le braccia le nostre piccole e i loro primi passi, mentre noi le tenevamo per mano. Una vera e propria benedizione: è questo il frutto più grande del nostro matrimonio. Se da una parte c'era stata la presa di coscienza di mettere da parte noi stessi per diventare una cosa sola con il coniuge, dall'altra stavamo capendo che la nostra vita doveva essere dedicata tutta alle nostre figlie. E ancora una volta il Signore ci fa stupire: pensavamo che matrimonio volesse dire solo unione, invece c’è molto di più. Pian piano abbiamo realizzato cosa il Signore ci stava chiedendo. Non solo di vivere nell’amore incondizionato e nel rispetto reciproco, ma ci aveva anche chiesto di formare una nuova famiglia. È stata questa la nostra sfida più grande, la più difficile e impegnativa. Solo crescendo le nostre figlie abbiamo realizzato appieno il verso senso del matrimonio. Abbiamo sempre paragonato l’amore all’acqua: un elemento essenziale per la vita, il quale si può manifestare sotto forme diverse, talvolta è sereno e piatto come un lago, altre agitato e irruento come una cascata, ma sempre immenso come l’oceano. Ci piace pensare che quest’acqua sia mossa dall’alito divino, lo stesso che ha dato vita all’argilla e che ora muove queste onde fino ad incresparle, ma poi tutto ritorna sereno. Acqua, elemento essenziale per la vita, ma se inquinato può diventare mortale e nessuno è in grado di viverci. Basta un eccesso di sale per renderlo invivibile, come il mar Morto. Anche nel matrimonio possono esserci degli eccessi che lo trasformano in qualche cosa di “invivibile”. La malattia principale per noi è rappresentata dall’egoismo. Il rischio di mettere al primo posto se stessi anziché l’altro è sempre dietro l’angolo. Quante volte abbiamo pensato che ci sentivamo trascurati, che avremmo voluto qualcosa di più; in certi momenti siamo arrivati a considerare l’idea che forse non avevamo sposato la persona giusta.
Nel Signore il vero amore
Non ringrazieremo mai abbastanza il Signore per esserci rimasto vicino e averci tenuto per mano, è solo grazie a Lui che noi ora sappiamo tenere per mano le nostre figlie. Il Signore è stato ed è tuttora fonte di salvezza per noi, un rifugio, un porto sicuro dove possiamo rifugiarci quando sentiamo che le forze ci vengono meno e la fede vacilla. Solo in Lui troviamo il vero significato della parola "amore". Un’unione non può nascere in un giorno, la storia ci insegna che niente di buono è stato ottenuto senza sforzi. Sbagliato sarebbe pensare che il giorno del matrimonio è il coronamento di un sogno d’amore, poiché abbiamo avuto la prova sulla nostra pelle che è stato solo l’inizio di un percorso. Ci vogliono impegno, costanza e tanta pazienza per riuscire a raggiungere insieme un obiettivo. Si può cadere, scivolare, persino farsi male, ma solo con tantissima umiltà si può ricominciare a camminare insieme, ripartendo dall’inizio o dal punto in cui ci si era fermati. Senza amore non si può tuttavia trovare la forza di rialzarsi, perché solo esso riesce a donare l’energia necessaria per liberare il cuore dalla schiavitù materialista e renderlo puro. Per noi è stato Cristo l’esempio più grande di amore: totale, assoluto, incondizionato, eterno. La più grande storia d’amore di tutti i tempi: per questo, giorno dopo giorno, cerchiamo di chiedere l’aiuto di Chi ha dimostrato in tutti i modi possibili come si ama, per poter a nostra volta essere testimoni del suo amore.
 (Grazia e Felice Redi)

dall'inserto "Incontra Vocazioni" del settimanale diocesano Nuova Scintilla del 22 aprile 2012







venerdì 13 aprile 2012

Chiara, invito perenne a cercare in Dio la vera gioia




Con gioia ho appreso che, in codesta Diocesi, come tra i Francescani e le Clarisse di tutto il mondo, si sta ricordando Santa Chiara con un «Anno Clariano», in occasione dell’VIII centenario della sua «conversione» e consacrazione. Tale evento, la cui datazione oscilla tra il 1211 e il 1212,  completava, per così dire, «al femminile» la grazia che aveva raggiunto pochi anni prima la comunità di Assisi con la conversione del figlio di Pietro di Bernardone. E, come era avvenuto per Francesco, anche nella decisione di Chiara si nascondeva il germoglio di una nuova fraternità, l’Ordine clariano che, divenuto albero robusto, nel silenzio fecondo dei chiostri continua a spargere il buon seme del Vangelo e a servire la causa del Regno di Dio.

Questa lieta circostanza mi spinge a tornare idealmente ad Assisi, per riflettere con Lei, venerato Fratello, e la comunità affidataLe, e, parimenti, con i figli di san Francesco e le figlie di santa Chiara, sul senso di quell’evento. Esso infatti parla anche alla nostra generazione, e ha un fascino soprattutto per i giovani, ai quali va il mio affettuoso pensiero in occasione della Giornata Mondiale della Gioventù, celebrata quest’anno, secondo la consuetudine, nelle Chiese particolari proprio in questo giorno della Domenica delle Palme.

Della sua scelta radicale di Cristo è la Santa stessa, nel suo Testamento, a parlare in termini di «conversione» (cfr FF 2825). E’ da questo aspetto che mi piace partire, quasi riprendendo il filo del discorso svolto in riferimento alla conversione di Francesco il 17 giugno 2007, quando ebbi la gioia di visitare codesta Diocesi. La storia della conversione di Chiara ruota intorno alla festa liturgica della Domenica delle Palme. Scrive infatti il suo biografo: «Era prossimo il giorno solenne delle Palme, quando la giovane si recò dall’uomo di Dio per chiedergli della sua conversione, quando e in che modo dovesse agire. Il padre Francesco ordina che nel giorno della festa, elegante e ornata, si rechi alle Palme in mezzo alla folla del popolo, e poi la notte seguente, uscendo fuori dalla città, converta la gioia mondana nel lutto della domenica di Passione. Giunto dunque il giorno di domenica, in mezzo alle altre dame, la giovane, splendente di luce festiva, entra con le altre in chiesa. Qui, con degno presagio, avvenne che, mentre gli altri correvano a ricevere le palme, Chiara, per verecondia, rimase immobile e allora il Vescovo, scendendo i gradini, giunse fino a lei e pose la palma nelle sue mani» (Legenda Sanctae Clarae virginis, 7: FF 3168).

Erano passati circa sei anni da quando il giovane Francesco aveva imboccato la via della  santità. Nelle parole del Crocifisso di San Damiano – «Va’, Francesco, ripara la mia casa» –, e nell’abbraccio ai lebbrosi, volto sofferente di Cristo, aveva trovato la sua vocazione. Ne era scaturito il liberante gesto dello «spogliamento» alla presenza del Vescovo Guido. Tra l’idolo del denaro a lui proposto dal padre terreno, e l’amore di Dio che prometteva di riempirgli il cuore, non aveva avuto dubbi, e con slancio aveva esclamato: «D’ora in poi potrò dire liberamente: Padre nostro, che sei nei cieli, non padre Pietro di Bernardone» (Vita Seconda, 12: FF 597). La decisione di Francesco aveva sconcertato la Città. I primi anni della sua nuova vita furono segnati da difficoltà, amarezze e incomprensioni. Ma molti cominciarono a riflettere. Anche la giovane Chiara, allora adolescente, fu toccata da quella testimonianza. Dotata di spiccato senso religioso, venne conquistata dalla «svolta» esistenziale di colui che era stato il «re delle feste». Trovò il modo di incontrarlo e si lasciò coinvolgere dal suo ardore per Cristo. Il biografo tratteggia il giovane convertito mentre istruisce la nuova discepola: «Il padre Francesco la esortava al disprezzo del mondo, dimostrandole, con una parola viva, che la speranza in questo mondo è arida e porta delusione, e le instillava alle orecchie il dolce connubio di Cristo» (Vita Sanctae Clarae Virginis, 5: FF 3164).

Secondo il Testamento di Santa Chiara, ancor prima di ricevere altri compagni, Francesco aveva profetizzato il cammino della sua prima figlia spirituale e delle sue consorelle. Mentre infatti lavorava per il restauro della chiesa di San Damiano, dove il Crocifisso gli aveva parlato, aveva annunciato che quel luogo sarebbe stato abitato da donne che avrebbero glorificato Dio col loro santo tenore di vita (cfr FF 2826; cfr Tommaso da Celano, Vita seconda, 13: FF 599). Il Crocifisso originale si trova ora nella Basilica di Santa Chiara. Quei grandi occhi di Cristo che avevano affascinato Francesco, diventarono lo «specchio» di Chiara. Non a caso il tema dello specchio le risulterà così caro e, nella IV lettera ad Agnese di Praga, scriverà: «Guarda ogni giorno questo specchio, o regina sposa di Gesù Cristo, e in esso scruta continuamente il tuo volto» (FF 2902). Negli anni in cui incontrava Francesco per apprendere da lui il cammino di Dio, Chiara era una ragazza avvenente. Il Poverello di Assisi le mostrò una bellezza superiore, che non si misura con lo specchio della vanità, ma si sviluppa in una vita di autentico amore, sulle orme di Cristo crocifisso. Dio è la vera bellezza! Il cuore di Chiara si illuminò a questo splendore, e ciò le diede il coraggio di lasciarsi tagliare le chiome e cominciare una vita penitente. Per lei, come per Francesco, questa decisione fu segnata da molte difficoltà. Se alcuni familiari non tardarono a comprenderla, e addirittura la madre Ortolana e due sorelle la seguirono nella sua scelta di vita, altri reagirono violentemente. La sua fuga da casa, nella notte tra la Domenica delle Palme e il Lunedì santo, ebbe dell’avventuroso. Nei giorni seguenti fu inseguita nei luoghi in cui Francesco le aveva preparato un rifugio e invano si tentò, anche con la forza, di farla recedere dal suo proposito.
A questa lotta Chiara si era preparata. E se Francesco era la sua guida, un sostegno paterno le veniva anche dal Vescovo Guido, come più di un indizio suggerisce. Si spiega così il gesto del Presule che le si avvicinò per offrirle la palma, quasi a benedire la sua scelta coraggiosa. Senza l’appoggio del Vescovo, difficilmente si sarebbe potuto realizzare il progetto ideato da Francesco ed attuato da Chiara, sia nella consacrazione che questa fece di se stessa nella chiesa della Porziuncola alla presenza di Francesco e dei suoi frati, sia nell’ospitalità che ella ricevette nei giorni successivi nel monastero di San Paolo delle Abbadesse e nella comunità di Sant’Angelo in Panzo, prima dell’approdo definitivo a San Damiano. La vicenda di Chiara, come quella di Francesco, mostra così un particolare tratto ecclesiale. In essa si incontrano un Pastore illuminato e due figli della Chiesa che si affidano al suo discernimento. Istituzione e carisma interagiscono stupendamente. L’amore e l’obbedienza alla Chiesa, tanto rimarcati nella spiritualità francescano-clariana, affondano le radici in questa bella esperienza della comunità cristiana di Assisi, che non solo generò alla fede Francesco e la sua «pianticella», ma anche li accompagnò per mano sulla via della santità.
Francesco aveva ben visto la ragione per suggerire a Chiara la fuga da casa agli inizi della Settimana Santa. Tutta la vita cristiana, e dunque anche la vita di speciale consacrazione, sono un frutto del Mistero pasquale e una partecipazione alla morte e alla risurrezione di Cristo. Nella liturgia della Domenica delle Palme dolore e gloria si intrecciano, come un tema che si andrà poi sviluppando nei giorni successivi attraverso il buio della Passione fino alla luce della Pasqua. Chiara, con la sua scelta, rivive questo mistero. Il giorno delle Palme ne riceve, per così dire, il programma. Entra poi nel dramma della Passione, deponendo i suoi capelli, e con essi rinunciando a tutta se stessa per essere sposa di Cristo nell’umiltà e nella povertà. Francesco e i suoi compagni sono ormai la sua famiglia. Presto arriveranno consorelle anche da lontano, ma i primi germogli, come nel caso di Francesco, spunteranno proprio in Assisi. E la Santa resterà sempre legata alla sua Città, mostrandolo specialmente in alcune circostanze difficili, quando la sua preghiera risparmiò ad Assisi violenza e devastazione. Disse allora alle consorelle: «Da questa città, carissime figlie, abbiamo ricevuto ogni giorno molti beni; sarebbe molto empio se non le prestassimo soccorso come possiamo nel tempo opportuno» (Legenda Sanctae Clarae Virginis  23:  FF 3203).

Nel suo significato profondo, la «conversione» di Chiara è una conversione all’amore. Ella non avrà più gli abiti raffinati della nobiltà di Assisi, ma l’eleganza di un’anima che si spende nella lode di Dio e nel dono di sé. Nel piccolo spazio del monastero di San Damiano, alla scuola di Gesù Eucaristia contemplato con affetto sponsale, si andranno sviluppando giorno dopo giorno i tratti di una fraternità regolata dall’amore a Dio e dalla preghiera, dalla premura e dal servizio. E’ in questo contesto di fede profonda e di grande umanità che Chiara si fa sicura interprete dell’ideale francescano, implorando quel «privilegio» della povertà, ossia la rinuncia a possedere anche solo comunitariamente dei beni, che lasciò a lungo perplesso lo stesso Sommo Pontefice, il quale alla fine si arrese all’eroismo della sua santità.

Come non proporre Chiara, al pari di Francesco, all’attenzione dei giovani d’oggi? Il tempo che ci separa dalla vicenda di questi due Santi non ha sminuito il loro fascino. Al contrario, se ne può vedere l’attualità al confronto con le illusioni e le delusioni che spesso segnano l’odierna condizione giovanile. Mai un tempo ha fatto sognare tanto i giovani, con le mille attrattive di una vita in cui tutto sembra possibile e lecito. Eppure, quanta insoddisfazione è presente, quante volte la ricerca di felicità, di realizzazione finisce per imboccare strade che portano a paradisi artificiali, come quelli della droga e della sensualità sfrenata! Anche la situazione attuale con la difficoltà di trovare un lavoro dignitoso e di formare una famiglia unita e felice, aggiunge nubi all’orizzonte. Non mancano però giovani che, anche ai nostri giorni, raccolgono l’invito ad affidarsi a Cristo e ad affrontare con coraggio, responsabilità e speranza il cammino della vita, anche operando la scelta di lasciare tutto per seguirlo nel totale servizio a Lui e ai fratelli. La storia di Chiara, insieme a quella di Francesco, è un invito a riflettere sul senso dell’esistenza e a cercare in Dio il segreto della vera gioia. E’ una prova concreta che chi compie la volontà del Signore e confida in Lui non solo non perde nulla, ma trova il vero tesoro capace di dare senso a tutto.

A Lei, venerato Fratello, a codesta Chiesa che ha l’onore di aver dato i natali a Francesco e a Chiara, alle Clarisse, che mostrano quotidianamente la bellezza e la fecondità della vita contemplativa, a sostegno del cammino di tutto il Popolo di Dio, e ai Francescani di tutto il mondo, a tanti giovani in ricerca e bisognosi di luce, consegno questa breve riflessione. Mi auguro che essa contribuisca a far riscoprire sempre di più queste due luminose figure del firmamento della Chiesa. Con un particolare pensiero alle figlie di santa Chiara del Protomonastero, degli altri monasteri di Assisi e del mondo intero, imparto di cuore a tutti la mia Benedizione Apostolica.


Benedetto XVI

da www.avvenire.it