Rispondere all’amore si può. Lo stupore dell’incontro
Le riflessioni del vescovo Adriano Tessarollo. L’amore, coniugato con la dignità e la libertà
‘Rispondere all’amore!’. Cosa vuol dire rispondere all’amore? Quando
uno si sente amato? Basta che uno ti mostri simpatia per dire che ti
ama? E se ad un certo punto la simpatia passa, finisce l’amore? Basta
che uno ti inviti ad una festa perché si possa dire che ti ama? Basta
che un uomo o un donna ti proponga una temporanea avventura sentimentale
per dire che davvero quello è amore? Accettare quella proposta
significa rispondere all’amore?
Io penso che l’iniziativa di amore sia proposta incondizionata di
unire la tua vita a quella dell’altro, senza condizioni, senza misurare
se l’altro, come un paio di scarpe, ti calza bene, se non ti stringe in
alcun modo. Con le cose si può prendere come criterio quello del ‘mi
piace’ e ‘finché mi piace’, altrimenti le butto e le cambio. Non così
con le persone. E Dio tratta da persone coloro che chiama, rispettandone la dignità e la libertà. Nella Bibbia abbiamo diverse persone che raccontano di come si sono
sentite ‘amate’ dal Signore e di come essi hanno risposto alla sua
proposta d’amore. Questi racconti sono solitamente definiti ‘racconti di vocazione’. Ne ascoltiamo uno:
“Prima di formarti nel grembo materno, ti ho conosciuto, prima che tu uscissi alla luce, ti ho consacrato;
ti ho stabilito profeta delle nazioni". Risposi: "Ahimè, Signore Dio! Ecco, io non so parlare, perché sono giovane". Ma il Signore mi disse: "Non dire: "Sono giovane". Tu andrai da tutti coloro a cui ti manderò
e dirai tutto quello che io ti ordinerò. Non aver paura di fronte a loro, perché io sono con te per proteggerti". (Ger 1,5-8).
Un giovane di nome Geremia, dopo che da qualche anno aveva svolto la
missione di portatore della Parola di Dio tra la sua gente (profeta),
entra in crisi e non vorrebbe più continuare. Quella missione gli sta
procurando fastidi, rifiuti e persecuzioni vere e proprie da parte della
gente cui si rivolgeva, persino da parte dei suoi familiari. Quante
notti ha passato per maturare una scelta e dire: “"Non penserò più a
lui, non parlerò più nel suo nome!" (Ger 20,9). Ma ecco che mentre
medita queste cose si accende nel suo cuore una luce che lo porta a
comprendere in profondità ciò che ha vissuto finora e che ora sta
vivendo. Perché ha fatto quella scelta? È stata una sua iniziativa, che
ora decide di abbandonare? Ecco come il Signore gli fa comprendere la
sua scelta: “Prima di formarti nel grembo materno, io ti ho conosciuto,
prima che tu uscissi alla luce, io ti ho consacrato; ti ho stabilito
profeta delle nazioni". Ma guarda un po’! È stato Dio che mi ha scelto,
che mi ha destinato a questa missione, che mi ha fatto suo portavoce,
fidandosi di me, ancora giovane e neanche tanto buon parlatore! Però
egli ha sentito tutta la forza rassicurante di Dio a fronte del compito
che gli affidava: “Non aver paura di fronte a loro, perché io sono con
te per proteggerti". Geremia ha capito dunque che quella ‘chiamata’ era
per Dio stesso un impegno a ‘stare con lui’ in ogni nuova situazione
bella o brutta che avesse incontrato. L’amore di Dio è proposta che manifesta fiducia, stima,
coinvolgimento, offerta di compagnia, sostegno, fedeltà. Tutta questa
fiducia e amore offerti ancora prima di essere ‘provati’ desta
certamente sorpresa e stupore. Il giovane Geremia risponde: “"Ahimè,
Signore Dio! Ecco, io non so parlare, perché sono giovane". Ma ecco la
sua risposta a quell’atto di fiducia e di amore: “Mi hai sedotto,
Signore, e io mi sono lasciato sedurre (20,7); Quando le tue parole mi
vennero incontro, le divorai con avidità; la tua parola fu la gioia e la
letizia del mio cuore…” (15,16)
Anche una ragazza di Nazaret, di nome Maria, di fronte alla inattesa
dichiarazione di stima e d’amore del Signore “Rallégrati, piena di
grazia: il Signore è con te… Non temere, Maria, perché hai trovato
grazia presso Dio" (Lc 1,28-30) e all’impensabile proposta: “Ecco,
concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù” (Lc 1,31),
rimane stupita e meravigliata. Ma anche la sua risposta è stata: “Ecco
la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola" (Lc 1,38).
Vocazione è incontrare il Signore, come Samuele, come Isaia ecc… Come
gli Apostoli, come san Paolo… e sentirsi scelti e inviati perché amati.
Ma vocazione è insieme rispondere, se pur stupiti della proposta, al
suo amore, contando fortemente su quell’amore, come scrive san Paolo:
“So infatti in chi ho posto la mia fede e sono convinto che egli è
capace di custodire fino a quel giorno ciò che mi è stato affidato”(2 Tm
1,12).
Anche oggi a ragazzi, ragazze, giovani e adulti il Signore continua a
proporsi e a proporre l’amore da vivere in tanti modi. Speriamo di non
meritare anche noi i rimproveri, ricordati dai profeti Isaia, ”Io avevo
chiamato e nessuno ha risposto, avevo parlato e nessuno ha udito”(Is
66,4), e Geremia, “Ho parlato loro e non mi hanno ascoltato, li ho
chiamati e non hanno risposto" (Ger 35,17).
Apriamo allora senza paura orecchi e cuore al Signore che chiama e rispondiamo al suo amore.
Egli ci stupirà!
Saluto e benedico tutti.
+ vescovo Adriano Tessarollo
Uno sguardo singolare
Volti e sguardi nuovi perché illuminati da Gesù Risorto, che sanno
accogliere la vita come dono non perché sono bravi ma perché con
semplicità riconoscono le grandi opere di Dio, che si lasciano stupire
dall’inatteso che travolge la loro esistenza e chiede coraggio e follia
nella risposta, che non temono le scelte creative perché sono artisti
nati, che sanno dire di Sì a Dio Padre nella forza dello Spirito e alla
sequela di Gesù che li ama divinamente. Affascinanti da uno sguardo
singolare, unico, personalissimo; sorpresi da una gratuità che non ha
paragoni. La notte di Pasqua il volto di Marco era trasfigurato durante
l’incessante susseguirsi dei riti liturgici e con mano si è toccata la
grazia di Dio che irrompe e trasforma, illumina e rasserena. Coloro che
hanno accolto la chiamata di Dio e sono stato scelti da lui per stare
con lui nelle molteplici forme della vita ministeriale ordinata, della
vita consacrata e della famiglia cristiana, hanno una luce in più che
arde nei loro volti e
nelle loro vite: è la luce di Cristo che abita in loro nella forza dello
Spirito e con la benevolenza del Padre. Celebrare la Giornata Mondiale
di Preghiera per le Vocazioni significa ridire ancora una volta quel Sì
che ha cambiato la nostra vita e nel ridirlo la trasforma ulteriormente
pur rimanendo sempre lo stesso. Nella IV domenica di Pasqua il popolo
cristiano testimonia al mondo che Cristo abita la sua Chiesa e la supera
nei confini universali: tutta la chiesa raccolta nella celebrazione
dell’Eucaristia spezza il pane della speranza e la porta nel mondo,
quali tabernacoli vivi e credibili di amore possibile. Per questo la
preghiera si fa più incessante perché tutti e in particolar modo i
giovani, possano scoprire quel volto di Cristo che si manifesta nei
mille e mille volti che incontriamo ogni giorno e che spesso ci lasciano
turbati: Sì, è lui, è lui che soffre, che gioisce, che piange, che si
dispera, che chiede aiuto e lo dona, che si fa corpo con coloro che
l’hanno trafitto, che si affianca a coloro che sono nella solitudine,
che prende per mano coloro che hanno chiuso braccia e cuore alla
speranza. Sì, è lui. I discepoli storditi davanti a quel volto sempre
affascinante e sempre diverso temevano di chiedere chi fosse quell’uomo
perché sapevano che era lui. Anche a noi oggi, in questo giorno
particolarissimo, viene offerta la possibilità di incontrarlo, di
sederci a mensa con lui, di lasciare ardere il nostro cuore nell’ascolto
delle Scritture. Il Regno di Dio è qui.
(don Damiano Vianello)
Chi sei, Gesù?
C’è un vangelo al quale sono particolarmente legato: è la chiamata
dei primi discepoli. Certo è facile scrivere una testimonianza
vocazionale partendo da un vangelo di chiamata, dove è Gesù che agisce,
che si muove, che parla ed è subito talmente attraente che questi poveri
pescatori lasciano tutto e lo seguono. La versione di Luca (Lc 5,1-11)
ha però una particolarità nella figura di Pietro e negli atteggiamenti
di Gesù. Sicuramente più volte Pietro si sarà chiesto chi fosse questo
sconosciuto che forse di pesca capiva poco, visto che gli chiede di
gettare le reti di giorno dopo che la notte è stata scarsamente
produttiva. Certamente gli avrà dato pure fastidio, gli costava fare
quello che gli chiedeva. E sicuramente se lo sarà chiesto anche dopo
aver visto quella pesca così copiosa…, miracolosa appunto. La prima
tentazione davanti ai gesti e alle parole di Gesù è di sentirsi il cuore
infiammare ma anche di sentirsi tanto lontani da Lui: Pietro cerca di
allontanarlo guardando miseramente alla sua condizione di peccatore,
Gesù lo invita ad una vita impegnata nel donarsi agli altri proprio a
partire dal suo essere. Il difficile di una risposta vocazionale sta
proprio lì, in quel passaggio: non avere paura di Gesù, perché ti chiama
a partire dalla tua vita (“ti farò pescatore di uomini”) e dalla tua
fragile condizione di fede (i discepoli quante volte chiederanno a Gesù
di aumentare la loro fede)… Tu dagli il tuo primo passo, quella seppur
piccola fiducia che ti fa scendere dalla barca delle tue sicurezze e ti
porta a seguirlo lungo strade incerte, sapendo che è
lui che fa strada. Penso sia il percorso vocazionale di tutti, quello di chiedersi chi
sia Gesù e di capire perché proprio tu sei chiamato (“Ma non c’era di
meglio in giro? Sei proprio disperato se chiami me?”), ma il percorso
prosegue dopo aver riconosciuto quanto di grande ha operato nella tua
vita se tu hai il coraggio di gettare le reti e di andare al largo (o
meglio in profondità). Poi i passi successivi sono più semplici perché
c’è quella spinta iniziale di accorgerti che prima di tutto sei stato
scelto. Un tempo anch’io pensavo fossero belle parole che facevano tanto
colore ed emozione, scritte da chi cercava di farti vedere belle tutte
le cose. Invece, è proprio così. La consapevolezza che Gesù passa
realmente ogni mattino sulla riva del mare della nostra vita e forse
chiede anche a noi di scostarci un po’ per avere un rapporto più
immediato con Lui. Chiede anche a noi di gettare le reti: chiede il
nostro tempo, la nostra fiducia, l’ascolto della sua Parola, il servizio
a favore degli altri.
(don Paolo De Cillia, religioso salesiano)
La gioia del sì per sempre
Ognuno di noi, prima o poi, sente dentro di sé un bisogno di amare e
allo stesso tempo di essere amato e non si ferma di cercare attorno a
sé fino a quando non è riuscito a trovare dove e come questo bisogno può
essere colmato. Il bisogno di amare è un desiderio che ti nasce dentro e
che ti spinge, in tutti i modi, a cercare di capire come fare per
trovare una risposta che lo possa colmare. E così ho iniziato a cercare. Guardandomi attorno, facendo attenzione a persone e avvenimenti, che
fino a poco prima sembravano banali. In modo inaspettato, un po’ alla
volta, la mia attenzione e il mio cuore si sono fermati su una persona,
un amico ed è nato un sentimento nuovo, improvviso e sconvolgente, mi
sono innamorata. Il mio bisogno aveva trovato lì, in quel sentimento, la
sua risposta, mettendo da parte tutto il resto. Mi sentivo felice,
piena di gioia e finalmente i miei sogni e le mie speranze si stavano
realizzando. Era tutto quello che avevo sempre sognato. Un po’ alla
volta però, questo mio bisogno di amare si è scontrato con il bisogno,
ancora più forte, di essere amata, di ricevere in cambio quell’amore e
quel sentimento che io provavo dentro
di me. Questo però non è successo, la gioia e la felicità hanno lasciato
il posto alla tristezza e al dolore. Allora ho iniziato a chiedermi se
la risposta a questo bisogno, che si faceva sentire sempre più forte e
intenso, non fosse questa ma la dovessi cercare da un’altra parte. Ho
iniziato a chiedere, a cercare la risposta a tutte le domande che mi
nascevano dentro, e davanti a me si sono aperte tante strade. Fra tutte
queste strade, da lontano, si vedeva ancora sfocata anche quella che
portava a Dio. E allora è stato in quel momento che oltre alle domande
sono iniziati a farsi sentire anche i dubbi, le ansie e le paure. La
prima cosa che ho cercato di fare è stata quella di allontanarmi da
questa strada, di cercare di ripercorrere quella precedente, con tutti i
rischi e le incertezze che conteneva. Ma, un po’ alla volta, dentro di
me, quella strada non mi bastava più, ciò che mi dava non era quello che
cercavo, mi serviva qualcosa di più. Ed ecco lì che c’era la strada che
portava dritta a Dio, che mi chiedeva di donare a Lui la mia vita.
Quella strada era lì, da scoprire e pronta per me. Ho capito allora che
Lui mi stava chiamando, che voleva che seguissi quella strada, che mi
voleva tutta per Lui, nonostante i miei dubbi e le mie paure. Lui mi
stava chiamando, io non gli ho risposto subito, Lui mi ha aspettato con
pazienza fino a quando gli ho detto di sì! Mi sono voltata indietro,
riguardando ancora una volta ciò che avevo e sentivo prima, ho ripensato
ai miei sogni e alle mie speranze, ho guardato davanti a me, alla
strada che iniziavo a percorrere e mi sono accorta che era tutta
un’altra cosa! I sogni e le speranze, ora, sono ben diversi! Lì, in quel
sì detto a Dio, ho trovato la risposta che tanto cercavo. Il mio
bisogno di amare e di essere amata, ora, si è realizzato. Ho cominciato a
guardare tutto e tutti con occhi diversi, a guardare Lui con occhi
nuovi e pieni di stupore. A restare sorpresa e piena di meraviglia anche
per le piccole cose e le più semplici. E dentro di me è nato quel
sentimento di profondo amore che ti travolge e conquista, che mi fa
sentire amata e allo stesso tempo innamorata intensamente! Gli ho detto
di sì. Un sì detto con amore e con gioia. Un sì che riempie tutta la mia
vita. Una gioia che si fa fatica a contenere, perché la vorrei far
sentire a chi mi sta vicino. Una gioia che si fa più forte e intensa
ogni volta che sono con Lui. Un sì detto con tutta la gioia e l’amore,
ma, soprattutto, detto per sempre.
(Alessandra Agatea, in cammino nell'Ordo Virginum)
Gesù è anche lì
La vocazione missionaria è realizzare il mandato di Gesù che invita
ad andare con fiducia, sulla strada del Vangelo fino agli estremi
confini della terra, con la certezza nel cuore che Egli sarà sempre
presente. Questa convinzione profonda mi ha sostenuto in tutti questi anni
nelle diverse esperienze missionarie in Messico, Papua Nuova Guinea e
ora in Burundi. Il Signore è sempre stato al mio fianco e l’ho
incontrato nei momenti belli che ornano la vita del missionario ma anche
nelle fatiche, nelle difficoltà, nei momenti di scoraggiamento, che mi
hanno fatto toccare con mano la verità che solo accogliendo il
sacrificio per amore si può dare fecondità alla nostra testimonianza.
Morire a se stessi è l’esercizio quotidiano per imparare ad amare con il
cuore di Dio che da ricco si fece povero per arricchirci con la sua
povertà. La mia vita di ogni giorno è fatta di esperienze semplici, ma
essenziali nelle quali posso cogliere tutta la bellezza di un Dio che si
fa presente nei sorrisi dei bambini, nei loro sguardi limpidi,
innocenti, seppure segnati dalla sofferenza e dalla povertà, nella gente
lungo le strade, nella generosità del povero che condivide il poco che
ha. Ma il volto sofferente di Gesù l’ho trovato anche nei carcerati di
Gitega, tutti ammassati in uno spazio ristretto e in condizioni
disumane, nella donna rimasta sola e che a fatica riesce a sfamare i
suoi figli, nei bambini lasciati a se stessi, nell’anziano ammalato che
muore nella sua casetta senza alcuna assistenza. Se non ci fosse la
forza che viene dal Vangelo quale speranza potremmo comunicare a questi
fratelli? A volte ho sperimentato tutta la mia inadeguatezza per
rispondere a tante necessità, ho avuto anche la tentazione di ribellarmi
di fronte a tante ingiustizie, ma nella preghiera ho trovato la forza
per stare di fronte a tanta sofferenza cercando di trasmettere gesti di
amore che aiutino a sentire concretamente che Dio non abbandona nessuna
delle sue creature.
Frequentando i poveri ho ricevuto moltissimo e mi sento debitrice
verso tanti fratelli che ho incontrato in questi anni di missione perché
mi hanno aiutata ad andare sempre oltre: aldilà della mia indifferenza
per aprirmi a una relazione più vera con ogni fratello; aldilà del mio
egoismo per scoprire la bellezza del dono condiviso; aldilà delle mie
paure per vivere la libertà che ti fa stare bene ovunque senza limiti di
cultura, razza, lingua, in una fraternità universale.
Nella vocazione missionaria mi sento realizzata come donna e come
consacrata e ringrazio il Signore che mi ha scelta, nonostante la mia
piccolezza, per essere un segno del suo amore tra i fratelli.
(Sr M.
Antonella Zanini, Serva di Maria Addolorata di Chioggia, Missionaria in
Burundi)
“Tutta sua”
Mi è stato chiesto di condividere per iscritto la mia risposta
all’Amore. Cerco di farlo, anche se le parole riescono ad esprimere poco
l’esperienza del mio rapporto col Signore.Sono una suora Serva di Maria Addolorata. La mia chiamata alla vita
religiosa è avvenuta in modo molto ordinario, non ho avuto una
conversione straordinaria e nemmeno ho vissuto una vita esemplare prima
che la chiamata arrivasse. Ero una comune ragazza che frequentava la
chiesa.
Ma un sogno si è insediato in me ancora bambina, all’età di sette
anni, quando per la prima volta conobbi due suore. Il loro modo di
vestire ha suscitato la domanda in me del perché vestire così? L’ho
chiesto a mio papà, la sua risposta è stata: “Significa che tutta la
loro persona è donata a Dio e Dio può operare attraverso loro”. In
quell’anno feci la mia prima comunione e ho chiesto a Gesù, nella mia
ingenuità, che mi facesse sua per sempre. Col passare degli anni,
soprattutto nell’adolescenza, ho cercato di allontanare da me un tale
pensiero.Comunque a 16 anni, il sogno di essere tutta per Gesù e per i poveri è
ritornato a me con grande forza, quando lessi una piccola biografia di
santa Teresa del Bambino Gesù e del Santo Volto e vidi, in televisione,
un servizio su madre Teresa di Calcutta, ancora in vita. Volevo una vita
così piena di significato. Avevo da poco cominciato un rapporto con un ragazzo del gruppo
parrocchiale e compagno di scuola, ma non potevo più sognarmi
felicemente sposata, pur volendogli bene. Ho condiviso con lui questa
inquietudine che apriva una breccia nel mio cuore, lui mi ha detto che
nel momento in cui fossi stata sicura di quel che volevo, lui avrebbe
rispettato la mia decisione; ma la scelta tra lui e Gesù era difficile,
per cui il Signore ha deciso di darmi una mano, e per motivi di studio
lui ha dovuto trasferirsi a un’altra città. Così, dopo questo periodo di
silenzio affettivo, ho potuto discernere meglio la mia vocazione grazie
anche all’aiuto delle suore Serve di Maria che conoscevo da due anni. Al suo ritorno ho manifestato la mia scelta per Gesù e la sua riposta
fu: “Contro Lui non si può competere”, e il suo abbraccio fraterno mi
ha animato a proseguire in questa decisione. Che devo dire? Il mio sì, da allora, devo ripeterlo giorno dopo
giorno. Quello dei 17 anni è stato solo un primo sì, ma se non lo ripeto
ogni giorno, soprattutto quando non capisco quello che mi chiede, a
niente varrebbe il primo sì. Il mio sogno continua ad essere quello di
essere tutta sua: possibilità e debolezze, pregi e limiti, gioie e
dolori, e Maria è il mio modello. Nel mio cammino si sono presentate, e
si presentano ancora, voci che mi suggeriscono che il mio sogno è
ridicolo, cose d’altri secoli; ma la mia fiducia in Lui non viene meno,
Lui ha fatto in me grandi cose, così piccola, povera e peccatrice come
sono, e quel che a me non è possibile a Lui sì, e io mi fido. La sua
pace non è paragonabile a gioie di questo mondo, pur essendo anche
queste doni suoi.
(Sr M. Ada Nelly Velázquez Escobar, Serve di Maria
Addolorata di Chioggia)
Un rapporto di coppia a tre: l’unità che salva
«Non anime gemelle, ma una cosa sola». È quello che ci ripeteva un
sacerdote che ci seguiva quando facevamo parte di un gruppo di giovani e
giovanissimi. Ricordiamo che in quelle occasioni raccoglievamo
medicinali da spedire in Africa, oppure organizzavamo delle raccolte
fondi per bambini gravemente malati. La nostra gioventù insomma è sempre
stata assistita da una presenza che si manifestava in modi diversi:
potevamo riconoscerla negli occhi degli anziani ai quali tenevamo
compagnia, nei bambini che assistevamo, ma soprattutto negli occhi
dell’altro. Non siamo mai stati dei fidanzati modello, i litigi non
siamo mai riusciti ad evitarli, persone così diverse ma così bisognose
dell’altro. È questo che fin dall’inizio abbiamo sentito: una
irrefrenabile necessità l’uno dell’altro. Il nostro sentimento era
ancora acerbo, ci mancava qualcosa. «Vuoi sposarmi?» è la domanda che oltre trent’anni fa Felice mi ha
posto. Ero poco più che una ragazza, ma non ho esitato a dirgli sì. Non
avrei mai potuto sapere fino a dove quel “Sì” ci avrebbe portato. Per
entrambi è stato come imbarcarci su una nave, dove al timone non ci
sarebbe stato né lui né io, ma una nuova essenza. Abbiamo deciso di
suggellare il nostro amore davanti al Signore in un soleggiato giorno di
gennaio. Sembra davvero ieri e invece ci accorgiamo che è passato
qualche anno di più guardando i volti delle nostre figlie ormai
diventate delle giovani donne, i nostri capelli bianchi che ormai non si
contano più. Tuttavia i nostri cuori battono ancora all’unisono come
quel giorno e riusciamo ancora a stupirci quando guardandoci negli
occhi, senza bisogno di parlaci, capiamo già cosa prova l’altro e di
cosa ha bisogno.
Il dono dell’unione
È in questo senso che possiamo dire di aver avuto la fortuna e la
gioia di aver incontrato Dio. Eravamo là davanti a Lui quando ci siamo
scambiati le promesse, forse non sapevamo veramente che da quel giorno
avremmo camminato in tre. Abbiamo sempre considerato il matrimonio come
il punto di partenza per una nuova vita, dove non sarebbe più esistito
un “io”, ma dove tutto si sarebbe evoluto in una pura e semplice
comunione, una condivisione che parte dalla quotidianità fino ad
arrivare ai meandri dello spirito e raggiungere un senso di completezza. Ancora oggi se ci chiedono quale sia il segreto di un matrimonio
felice e duraturo, rispondiamo l’unione. È questa l’unica vera ricetta
per una relazione stabile, in quanto le sfide alle quali la vita può
sottoporre due coniugi sono infinite e una più dura dell’altra. Solo
rimanendo uniti siamo riusciti a superarle. Non è stato facile, in certi
momenti, poiché lo sconforto e la tristezza sono sempre dietro
l’angolo, pronti a prendere il sopravvento sulla luce, ma bastava
invocare il Suo aiuto per non sentirci soli. Il nostro primo obiettivo è
sempre stato quello di non escludere mai Dio dalla nostra vita. Eppure a volte ci siamo trovati anche noi a gridare al cielo “Dio
mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”. Davanti ad alcune difficoltà
non siamo riusciti a trovare subito una spiegazione, né a vedere il
volto di Cristo, ma ci siamo lasciati andare allo smarrimento e a
un’umana delusione. La nostra prima “croce” è stata pesantissima da
portare, al momento non ci credevamo pronti. Una sofferenza umana,
troppo umana, poiché non abbiamo saputo capire che solo attraverso le
sofferenze la fede si rafforza. Solo il credere in Dio con tutte le
nostre forze ci ha permesso di guardar oltre i limiti della ristrettezza
umana, secondo la quale la morte è la fine di tutto. In cuor nostro
abbiamo trovato la forza di vederla come il principio: le nostre future
figlie non sarebbero mai state sole, ma sarebbero sempre state protette
da un piccolo angelo. Passo dopo passo ci siamo resi conto che il
matrimonio è uno dei misteri più grandi in quanto questa unione
attraverso mille e più avversità non fa altro che unirci più di prima.
Così possiamo dire che per noi questo sacramento è stato ed è tuttora il
collante della nostra vita di coppia. È stata una vera e propria
alleanza che abbiamo stretto, una fusione eterna, sempre insieme, in una
continua comunione anche nella tempesta della vita.
Il dono delle figlie
Non solo di un “noi” è fatto un matrimonio, ma soprattutto di un
“loro”, ovvero i figli. Se già rimaniamo stupiti davanti al mistero
dell’eterna unione, ancora di più lo siamo quando pensiamo al dono più
grande della nostra vita. Indescrivibile l’emozione che abbiamo avuto
nel vedere la prima ecografia e nel sentire i primi calci. Come non
ricordare la prima volta che abbiamo tenuto tra le braccia le nostre
piccole e i loro primi passi, mentre noi le tenevamo per mano. Una vera e
propria benedizione: è questo il frutto più grande del nostro
matrimonio. Se da una parte c'era stata la presa di coscienza di mettere
da parte noi stessi per diventare una cosa sola con il coniuge,
dall'altra stavamo capendo che la nostra vita doveva essere dedicata
tutta alle nostre figlie. E ancora una volta il Signore ci fa stupire:
pensavamo che matrimonio volesse dire solo unione, invece c’è molto di
più. Pian piano abbiamo realizzato cosa il Signore ci stava chiedendo.
Non solo di vivere nell’amore incondizionato e nel rispetto reciproco,
ma ci aveva anche chiesto di formare una nuova famiglia. È stata questa
la nostra sfida più grande, la più difficile e impegnativa. Solo
crescendo le nostre figlie abbiamo realizzato appieno il verso senso del
matrimonio. Abbiamo sempre paragonato l’amore all’acqua: un elemento
essenziale per la vita, il quale si può manifestare sotto forme diverse,
talvolta è sereno e piatto come un lago, altre agitato e irruento come
una cascata, ma sempre immenso come l’oceano. Ci piace pensare che
quest’acqua sia mossa dall’alito divino, lo stesso che ha dato vita
all’argilla e che ora muove queste onde fino ad incresparle, ma poi
tutto ritorna sereno. Acqua, elemento essenziale per la vita, ma se
inquinato può diventare mortale e nessuno è in grado di viverci. Basta
un eccesso di sale per renderlo invivibile, come il mar Morto. Anche nel
matrimonio possono esserci degli eccessi che lo trasformano in qualche
cosa di “invivibile”. La malattia principale per noi è rappresentata
dall’egoismo. Il rischio di mettere al primo posto se stessi anziché
l’altro è sempre dietro l’angolo. Quante volte abbiamo pensato che ci
sentivamo trascurati, che avremmo voluto qualcosa di più; in certi
momenti siamo arrivati a considerare l’idea che forse non avevamo
sposato la persona giusta.
Nel Signore il vero amore
Non ringrazieremo mai abbastanza il Signore per esserci rimasto
vicino e averci tenuto per mano, è solo grazie a Lui che noi ora
sappiamo tenere per mano le nostre figlie. Il Signore è stato ed è
tuttora fonte di salvezza per noi, un rifugio, un porto sicuro dove
possiamo rifugiarci quando sentiamo che le forze ci vengono meno e la
fede vacilla. Solo in Lui troviamo il vero significato della parola
"amore". Un’unione non può nascere in un giorno, la storia ci insegna
che niente di buono è stato ottenuto senza sforzi. Sbagliato sarebbe
pensare che il giorno del matrimonio è il coronamento di un sogno
d’amore, poiché abbiamo avuto la prova sulla nostra pelle che è stato
solo l’inizio di un percorso. Ci vogliono impegno, costanza e tanta
pazienza per riuscire a raggiungere insieme un obiettivo. Si può cadere,
scivolare, persino farsi male, ma solo con tantissima umiltà si può
ricominciare a camminare insieme, ripartendo dall’inizio o dal punto in
cui ci si era fermati. Senza amore non si può tuttavia trovare la forza
di rialzarsi, perché solo esso riesce a donare l’energia necessaria per
liberare il cuore dalla schiavitù materialista e renderlo puro. Per noi è
stato Cristo l’esempio più grande di amore: totale, assoluto,
incondizionato, eterno. La più grande storia d’amore di tutti i tempi:
per questo, giorno dopo giorno, cerchiamo di chiedere l’aiuto di Chi ha
dimostrato in tutti i modi possibili come si ama, per poter a nostra
volta essere testimoni del suo amore.
(Grazia e Felice Redi)
dall'inserto "Incontra Vocazioni" del settimanale diocesano Nuova Scintilla del 22 aprile 2012