giovedì 2 febbraio 2012

Giornata della Vita Consacrata, una testimonianza

Intervista a Giuliana Savi, farmacista romana: ha scelto l’Ordo Virginum, una forma di vita consacrata caratterizzata dalla diocesanità e dalla sponsalità. Dio «raddoppia le gioie e divide i dolori» di Marianna Russo

Il 2 febbraio la Chiesa celebra la Giornata della Vita Consacrata. Per l’occasione Benedetto XVI alle ore 17.30 nella basilica Vaticana presiede i vespri e rivolge il suo saluto a tutti i consacrati. In un tempo in cui la castità è un tabù e, nella generale confusione di valori e certezze, dilaga la mentalità del tutto e subito e una sorta di allergia al per sempre. In questo contesto cosa spinge a consacrarsi al Signore?
Lo chiediamo a Giuliana Savi, quarantenne romana, farmacista in un ospedale della capitale, che il 21 gennaio scorso nell’abside della basilica lateranense, è stata consacrata da monsignor Giuseppe Marciante, vescovo ausiliare del settore est, secondo il rito consecrationis virginum, risalente ai primi secoli del cristianesimo e riportato alla luce dal Concilio Vaticano II.

Perché consacrarsi al Signore?
È come chiedere a marito e moglie: perché sposarsi? Forse perché ti accorgi che quello è l'uomo o la donna giusta ed è con lui o con lei che pensi e sogni di condividere tutta la tua vita. Nessuno più del Signore ti conosce tanto bene e sa starti vicino in ogni momento, bello o brutto che sia: le gioie si raddoppiano e i dolori si dividono. Lui è così: non puoi farne a meno, non sai starGli lontano. È questione d’amore, dunque.

Quindi come è nata la tua storia d’amore con il Signore?
La mia è una un’esperienza normalissima. Sono nata a Roma e cresciuta in un ambiente tranquillo, in cui ho conosciuto e frequentato lo scoutismo, che mi ha insegnato ad impegnarmi per gli altri e con gli altri. La fede è diventata, poi, sempre più un elemento fondante del mio essere e del mio agire. Poi l’Università, la laurea e il lavoro in farmacia. Intanto, mi sono inserita in un gruppo parrocchiale di giovani lavoratori: ogni settimana ci incontravamo e, guidati da un padre gesuita, meditavamo la Parola di Dio. Così ho scoperto la lectio divina e ho fatto esperienza di ritiri e esercizi spirituali secondo lo stile ignaziano, imparando a fare discernimento alla luce della fede. E ho cominciato ad avere anche una direzione spirituale. Nel frattempo ho svolto anche un po’ di volontariato al centro di accoglienza per rifugiati di via degli Astalli e in altre associazioni. Dopo aver sostenuto diversi concorsi, ho cominciato a lavorare in ospedale, una realtà che mi appassiona molto.

E così il Signore, come un venticello leggero, è entrato nella tua vita e ha parlato al tuo cuore, fino alla scelta definitiva di rispondere “sì” alla Sua chiamata d’amore. Perché hai scelto proprio l’Ordo Virginum, l’antico Ordine delle vergini, una forma di vita consacrata caratterizzata dalla diocesanità e dalla sponsalità con Cristo?
Da molto tempo, in maniera forse inconsapevole, ero alla ricerca del progetto di amore che il Signore aveva su di me. Capivo che la Chiesa era la dimensione in cui questo progetto doveva trovare la sua realizzazione e proprio nella Chiesa ho incontrato l'Ordo Virginum. Era proprio ciò che stavo cercando: una Chiesa che si incarna nel mondo e vive per il mondo. Una Chiesa voluta da Cristo come Sua Sposa.

Le tue giornate sono scandite dal lavoro, dalla preghiera, dall’impegno in parrocchia e nell’associazione dei farmacisti cattolici, oltre che dall’attenzione per la tua famiglia di origine e dagli studi di teologia alla Lateranense. Cos’è cambiato con la consacrazione?
Non è facile esprimere in parole la gioia provata in una cornice di calma e di forza interiore: mai prima d'ora ho avvertito in maniera così chiara la presenza di un Amore più grande, dell'abbraccio della Chiesa Sposa di Cristo, dell'esistenza di una famiglia umana che si riconosce nell'Unico. Mi sono resa conto che questa scelta è l’espressione di un disegno del Signore che mi ha voluto qui, in questo momento e in questo ambiente.

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