domenica 22 aprile 2012

Rispondere all'amore si può...testimonianze ed esperienze di vocazioni

Rispondere all’amore si può. Lo stupore dell’incontro 

Le riflessioni del vescovo Adriano Tessarollo. L’amore, coniugato con la dignità e la libertà

damiano poster-2012 ‘Rispondere all’amore!’. Cosa vuol dire rispondere all’amore? Quando uno si sente amato? Basta che uno ti mostri simpatia per dire che ti ama? E se ad un certo punto la simpatia passa, finisce l’amore? Basta che uno ti inviti ad una festa perché si possa dire che ti ama? Basta che un uomo o un donna ti proponga una temporanea avventura sentimentale per dire che davvero quello è amore? Accettare quella proposta significa rispondere all’amore?
Io penso che l’iniziativa di amore sia proposta incondizionata di unire la tua vita a quella dell’altro, senza condizioni, senza misurare se l’altro, come un paio di scarpe, ti calza bene, se non ti stringe in alcun modo. Con le cose si può prendere come criterio quello del ‘mi piace’ e ‘finché mi piace’, altrimenti le butto e le cambio. Non così con le persone. E Dio tratta da persone coloro che chiama, rispettandone la dignità e la libertà. Nella Bibbia abbiamo diverse persone che raccontano di come si sono sentite ‘amate’ dal Signore e di come essi hanno risposto alla sua proposta d’amore. Questi racconti sono solitamente definiti ‘racconti di vocazione’. Ne ascoltiamo uno:
“Prima di formarti nel grembo materno, ti ho conosciuto, prima che tu uscissi alla luce, ti ho consacrato;
ti ho stabilito profeta delle nazioni". Risposi: "Ahimè, Signore Dio! Ecco, io non so parlare, perché sono giovane". Ma il Signore mi disse: "Non dire: "Sono giovane". Tu andrai da tutti coloro a cui ti manderò
e dirai tutto quello che io ti ordinerò. Non aver paura di fronte a loro, perché io sono con te per proteggerti". (Ger 1,5-8).
Un giovane di nome Geremia, dopo che da qualche anno aveva svolto la missione di portatore della Parola di Dio tra la sua gente (profeta), entra in crisi e non vorrebbe più continuare. Quella missione gli sta procurando fastidi, rifiuti e persecuzioni vere e proprie da parte della gente cui si rivolgeva, persino da parte dei suoi familiari. Quante notti ha passato per maturare una scelta e dire: “"Non penserò più a lui, non parlerò più nel suo nome!" (Ger 20,9). Ma ecco che mentre medita queste cose si accende nel suo cuore una luce che lo porta a comprendere in profondità ciò che ha vissuto finora e che ora sta vivendo. Perché ha fatto quella scelta? È stata una sua iniziativa, che ora decide di abbandonare? Ecco come il Signore gli fa comprendere la sua scelta: “Prima di formarti nel grembo materno, io ti ho conosciuto, prima che tu uscissi alla luce, io ti ho consacrato; ti ho stabilito profeta delle nazioni". Ma guarda un po’! È stato Dio che mi ha scelto, che mi ha destinato a questa missione, che mi ha fatto suo portavoce, fidandosi di me, ancora giovane e neanche tanto buon parlatore! Però egli ha sentito tutta la forza rassicurante di Dio a fronte del compito che gli affidava: “Non aver paura di fronte a loro, perché io sono con te per proteggerti". Geremia ha capito dunque che quella ‘chiamata’ era per Dio stesso un impegno a ‘stare con lui’ in ogni nuova situazione bella o brutta che avesse incontrato. L’amore di Dio è proposta che manifesta fiducia, stima, coinvolgimento, offerta di compagnia, sostegno, fedeltà. Tutta questa fiducia e amore offerti ancora prima di essere ‘provati’ desta certamente sorpresa e stupore. Il giovane Geremia risponde: “"Ahimè, Signore Dio! Ecco, io non so parlare, perché sono giovane". Ma ecco la sua risposta a quell’atto di fiducia e di amore: “Mi hai sedotto, Signore, e io mi sono lasciato sedurre (20,7); Quando le tue parole mi vennero incontro, le divorai con avidità; la tua parola fu la gioia e la letizia del mio cuore…” (15,16)
Anche una ragazza di Nazaret, di nome Maria, di fronte alla inattesa dichiarazione di stima e d’amore del Signore “Rallégrati, piena di grazia: il Signore è con te… Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio" (Lc 1,28-30) e all’impensabile proposta: “Ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù” (Lc 1,31), rimane stupita e meravigliata. Ma anche la sua risposta è stata: “Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola" (Lc 1,38).
Vocazione è incontrare il Signore, come Samuele, come Isaia ecc… Come gli Apostoli, come san Paolo… e sentirsi scelti e inviati perché amati. Ma vocazione è insieme rispondere, se pur stupiti della proposta, al suo amore, contando fortemente su quell’amore, come scrive san Paolo: “So infatti in chi ho posto la mia fede e sono convinto che egli è capace di custodire fino a quel giorno ciò che mi è stato affidato”(2 Tm 1,12).
Anche oggi a ragazzi, ragazze, giovani e adulti il Signore continua a proporsi e a proporre l’amore da vivere in tanti modi. Speriamo di non meritare anche noi i rimproveri, ricordati dai profeti Isaia, ”Io avevo chiamato e nessuno ha risposto, avevo parlato e nessuno ha udito”(Is 66,4), e Geremia, “Ho parlato loro e non mi hanno ascoltato, li ho chiamati e non hanno risposto" (Ger 35,17).
Apriamo allora senza paura orecchi e cuore al Signore che chiama e rispondiamo al suo amore.
Egli ci stupirà!
Saluto e benedico tutti.
+ vescovo Adriano Tessarollo

Uno sguardo singolare
damiano Spiritualita-Icona-2009 Volti e sguardi nuovi perché illuminati da Gesù Risorto, che sanno accogliere la vita come dono non perché sono bravi ma perché con semplicità riconoscono le grandi opere di Dio, che si lasciano stupire dall’inatteso che travolge la loro esistenza e chiede coraggio e follia nella risposta, che non temono le scelte creative perché sono artisti nati, che sanno dire di Sì a Dio Padre nella forza dello Spirito e alla sequela di Gesù che li ama divinamente. Affascinanti da uno sguardo singolare, unico, personalissimo; sorpresi da una gratuità che non ha paragoni. La notte di Pasqua il volto di Marco era trasfigurato durante l’incessante susseguirsi dei riti liturgici e con mano si è toccata la grazia di Dio che irrompe e trasforma, illumina e rasserena. Coloro che hanno accolto la chiamata di Dio e sono stato scelti da lui per stare con lui nelle molteplici forme della vita ministeriale ordinata, della vita consacrata e della famiglia cristiana, hanno una luce in più che arde nei loro volti e nelle loro vite: è la luce di Cristo che abita in loro nella forza dello Spirito e con la benevolenza del Padre. Celebrare la Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni significa ridire ancora una volta quel Sì che ha cambiato la nostra vita e nel ridirlo la trasforma ulteriormente pur rimanendo sempre lo stesso. Nella IV domenica di Pasqua il popolo cristiano testimonia al mondo che Cristo abita la sua Chiesa e la supera nei confini universali: tutta la chiesa raccolta nella celebrazione dell’Eucaristia spezza il pane della speranza e la porta nel mondo, quali tabernacoli vivi e credibili di amore possibile. Per questo la preghiera si fa più incessante perché tutti e in particolar modo i giovani, possano scoprire quel volto di Cristo che si manifesta nei mille e mille volti che incontriamo ogni giorno e che spesso ci lasciano turbati: Sì, è lui, è lui che soffre, che gioisce, che piange, che si dispera, che chiede aiuto e lo dona, che si fa corpo con coloro che l’hanno trafitto, che si affianca a coloro che sono nella solitudine, che prende per mano coloro che hanno chiuso braccia e cuore alla speranza. Sì, è lui. I discepoli storditi davanti a quel volto sempre affascinante e sempre diverso temevano di chiedere chi fosse quell’uomo perché sapevano che era lui. Anche a noi oggi, in questo giorno particolarissimo, viene offerta la possibilità di incontrarlo, di sederci a mensa con lui, di lasciare ardere il nostro cuore nell’ascolto delle Scritture. Il Regno di Dio è qui.
(don Damiano Vianello)
  
Chi sei, Gesù?
damiano Eucaristia C’è un vangelo al quale sono particolarmente legato: è la chiamata dei primi discepoli. Certo è facile scrivere una testimonianza vocazionale partendo da un vangelo di chiamata, dove è Gesù che agisce, che si muove, che parla ed è subito talmente attraente che questi poveri pescatori lasciano tutto e lo seguono. La versione di Luca (Lc 5,1-11) ha però una particolarità nella figura di Pietro e negli atteggiamenti di Gesù. Sicuramente più volte Pietro si sarà chiesto chi fosse questo sconosciuto che forse di pesca capiva poco, visto che gli chiede di gettare le reti di giorno dopo che la notte è stata scarsamente produttiva. Certamente gli avrà dato pure fastidio, gli costava fare quello che gli chiedeva. E sicuramente se lo sarà chiesto anche dopo aver visto quella pesca così copiosa…, miracolosa appunto. La prima tentazione davanti ai gesti e alle parole di Gesù è di sentirsi il cuore infiammare ma anche di sentirsi tanto lontani da Lui: Pietro cerca di allontanarlo guardando miseramente alla sua condizione di peccatore, Gesù lo invita ad una vita impegnata nel donarsi agli altri proprio a partire dal suo essere. Il difficile di una risposta vocazionale sta proprio lì, in quel passaggio: non avere paura di Gesù, perché ti chiama a partire dalla tua vita (“ti farò pescatore di uomini”) e dalla tua fragile condizione di fede (i discepoli quante volte chiederanno a Gesù di aumentare la loro fede)… Tu dagli il tuo primo passo, quella seppur piccola fiducia che ti fa scendere dalla barca delle tue sicurezze e ti porta a seguirlo lungo strade incerte, sapendo che è lui che fa strada. Penso sia il percorso vocazionale di tutti, quello di chiedersi chi sia Gesù e di capire perché proprio tu sei chiamato (“Ma non c’era di meglio in giro? Sei proprio disperato se chiami me?”), ma il percorso prosegue dopo aver riconosciuto quanto di grande ha operato nella tua vita se tu hai il coraggio di gettare le reti e di andare al largo (o meglio in profondità). Poi i passi successivi sono più semplici perché c’è quella spinta iniziale di accorgerti che prima di tutto sei stato scelto. Un tempo anch’io pensavo fossero belle parole che facevano tanto colore ed emozione, scritte da chi cercava di farti vedere belle tutte le cose. Invece, è proprio così. La consapevolezza che Gesù passa realmente ogni mattino sulla riva del mare della nostra vita e forse chiede anche a noi di scostarci un po’ per avere un rapporto più immediato con Lui. Chiede anche a noi di gettare le reti: chiede il nostro tempo, la nostra fiducia, l’ascolto della sua Parola, il servizio a favore degli altri.
(don Paolo De Cillia, religioso salesiano)

La gioia del sì per sempre
damiano Foto sito GMPV 2012 Ognuno di noi, prima o poi, sente dentro di sé un bisogno di amare e allo stesso tempo di essere amato e non si ferma di cercare attorno a sé fino a quando non è riuscito a trovare dove e come questo bisogno può essere colmato. Il bisogno di amare è un desiderio che ti nasce dentro e che ti spinge, in tutti i modi, a cercare di capire come fare per trovare una risposta che lo possa colmare. E così ho iniziato a cercare. Guardandomi attorno, facendo attenzione a persone e avvenimenti, che fino a poco prima sembravano banali. In modo inaspettato, un po’ alla volta, la mia attenzione e il mio cuore si sono fermati su una persona, un amico ed è nato un sentimento nuovo, improvviso e sconvolgente, mi sono innamorata. Il mio bisogno aveva trovato lì, in quel sentimento, la sua risposta, mettendo da parte tutto il resto. Mi sentivo felice, piena di gioia e finalmente i miei sogni e le mie speranze si stavano realizzando. Era tutto quello che avevo sempre sognato. Un po’ alla volta però, questo mio bisogno di amare si è scontrato con il bisogno, ancora più forte, di essere amata, di ricevere in cambio quell’amore e quel sentimento che io provavo dentro di me. Questo però non è successo, la gioia e la felicità hanno lasciato il posto alla tristezza e al dolore. Allora ho iniziato a chiedermi se la risposta a questo bisogno, che si faceva sentire sempre più forte e intenso, non fosse questa ma la dovessi cercare da un’altra parte. Ho iniziato a chiedere, a cercare la risposta a tutte le domande che mi nascevano dentro, e davanti a me si sono aperte tante strade. Fra tutte queste strade, da lontano, si vedeva ancora sfocata anche quella che portava a Dio. E allora è stato in quel momento che oltre alle domande sono iniziati a farsi sentire anche i dubbi, le ansie e le paure. La prima cosa che ho cercato di fare è stata quella di allontanarmi da questa strada, di cercare di ripercorrere quella precedente, con tutti i rischi e le incertezze che conteneva. Ma, un po’ alla volta, dentro di me, quella strada non mi bastava più, ciò che mi dava non era quello che cercavo, mi serviva qualcosa di più. Ed ecco lì che c’era la strada che portava dritta a Dio, che mi chiedeva di donare a Lui la mia vita. Quella strada era lì, da scoprire e pronta per me. Ho capito allora che Lui mi stava chiamando, che voleva che seguissi quella strada, che mi voleva tutta per Lui, nonostante i miei dubbi e le mie paure. Lui mi stava chiamando, io non gli ho risposto subito, Lui mi ha aspettato con pazienza fino a quando gli ho detto di sì! Mi sono voltata indietro, riguardando ancora una volta ciò che avevo e sentivo prima, ho ripensato ai miei sogni e alle mie speranze, ho guardato davanti a me, alla strada che iniziavo a percorrere e mi sono accorta che era tutta un’altra cosa! I sogni e le speranze, ora, sono ben diversi! Lì, in quel sì detto a Dio, ho trovato la risposta che tanto cercavo. Il mio bisogno di amare e di essere amata, ora, si è realizzato. Ho cominciato a guardare tutto e tutti con occhi diversi, a guardare Lui con occhi nuovi e pieni di stupore. A restare sorpresa e piena di meraviglia anche per le piccole cose e le più semplici. E dentro di me è nato quel sentimento di profondo amore che ti travolge e conquista, che mi fa sentire amata e allo stesso tempo innamorata intensamente! Gli ho detto di sì. Un sì detto con amore e con gioia. Un sì che riempie tutta la mia vita. Una gioia che si fa fatica a contenere, perché la vorrei far sentire a chi mi sta vicino. Una gioia che si fa più forte e intensa ogni volta che sono con Lui. Un sì detto con tutta la gioia e l’amore, ma, soprattutto, detto per sempre.
(Alessandra Agatea, in cammino nell'Ordo Virginum)

 Gesù è anche lì
Suor_Antonella_in_Burundi_1_BN La vocazione missionaria è realizzare il mandato di Gesù che invita ad andare con fiducia, sulla strada del Vangelo fino agli estremi confini della terra, con la certezza nel cuore che Egli sarà sempre presente. Questa convinzione profonda mi ha sostenuto in tutti questi anni nelle diverse esperienze missionarie in Messico, Papua Nuova Guinea e ora in Burundi. Il Signore è sempre stato al mio fianco e l’ho incontrato nei momenti belli che ornano la vita del missionario ma anche nelle fatiche, nelle difficoltà, nei momenti di scoraggiamento, che mi hanno fatto toccare con mano la verità che solo accogliendo il sacrificio per amore si può dare fecondità alla nostra testimonianza. Morire a se stessi è l’esercizio quotidiano per imparare ad amare con il cuore di Dio che da ricco si fece povero per arricchirci con la sua povertà. La mia vita di ogni giorno è fatta di esperienze semplici, ma essenziali nelle quali posso cogliere tutta la bellezza di un Dio che si fa presente nei sorrisi dei bambini, nei loro sguardi limpidi, innocenti, seppure segnati dalla sofferenza e dalla povertà, nella gente lungo le strade, nella generosità del povero che condivide il poco che ha. Ma il volto sofferente di Gesù l’ho trovato anche nei carcerati di Gitega, tutti ammassati in uno spazio ristretto e in condizioni burundi_178 disumane, nella donna rimasta sola e che a fatica riesce a sfamare i suoi figli, nei bambini lasciati a se stessi, nell’anziano ammalato che muore nella sua casetta senza alcuna assistenza. Se non ci fosse la forza che viene dal Vangelo quale speranza potremmo comunicare a questi fratelli? A volte ho sperimentato tutta la mia inadeguatezza per rispondere a tante necessità, ho avuto anche la tentazione di ribellarmi di fronte a tante ingiustizie, ma nella preghiera ho trovato la forza per stare di fronte a tanta sofferenza cercando di trasmettere gesti di amore che aiutino a sentire concretamente che Dio non abbandona nessuna delle sue creature.
Frequentando i poveri ho ricevuto moltissimo e mi sento debitrice verso tanti fratelli che ho incontrato in questi anni di missione perché mi hanno aiutata ad andare sempre oltre: aldilà della mia indifferenza per aprirmi a una relazione più vera con ogni fratello; aldilà del mio egoismo per scoprire la bellezza del dono condiviso; aldilà delle mie paure per vivere la libertà che ti fa stare bene ovunque senza limiti di cultura, razza, lingua, in una fraternità universale.
Nella vocazione missionaria mi sento realizzata come donna e come consacrata e ringrazio il Signore che mi ha scelta, nonostante la mia piccolezza, per essere un segno del suo amore tra i fratelli.
(Sr M. Antonella Zanini, Serva di Maria Addolorata di Chioggia, Missionaria in Burundi)

 “Tutta sua”
suora Mi è stato chiesto di condividere per iscritto la mia risposta all’Amore. Cerco di farlo, anche se le parole riescono ad esprimere poco l’esperienza del mio rapporto col Signore.Sono una suora Serva di Maria Addolorata. La mia chiamata alla vita religiosa è avvenuta in modo molto ordinario, non ho avuto una conversione straordinaria e nemmeno ho vissuto una vita esemplare prima che la chiamata arrivasse. Ero una comune ragazza che frequentava la chiesa.
Ma un sogno si è insediato in me ancora bambina, all’età di sette anni, quando per la prima volta conobbi due suore. Il loro modo di vestire ha suscitato la domanda in me del perché vestire così? L’ho chiesto a mio papà, la sua risposta è stata: “Significa che tutta la loro persona è donata a Dio e Dio può operare attraverso loro”. In quell’anno feci la mia prima comunione e ho chiesto a Gesù, nella mia ingenuità, che mi facesse sua per sempre. Col passare degli anni, soprattutto nell’adolescenza, ho cercato di allontanare da me un tale pensiero.Comunque a 16 anni, il sogno di essere tutta per Gesù e per i poveri è ritornato a me con grande forza, quando lessi una piccola biografia di santa Teresa del Bambino Gesù e del Santo Volto e vidi, in televisione, un servizio su madre Teresa di Calcutta, ancora in vita. Volevo una vita così piena di significato. Avevo da poco cominciato un rapporto con un ragazzo del gruppo parrocchiale e compagno di scuola, ma non potevo più sognarmi felicemente sposata, pur volendogli bene. Ho condiviso con lui questa inquietudine che apriva una breccia nel mio cuore, lui mi ha detto che nel momento in cui fossi stata sicura di quel che volevo, lui avrebbe rispettato la mia decisione; ma la scelta tra lui e Gesù era difficile, per cui il Signore ha deciso di darmi una mano, e per motivi di studio lui ha dovuto trasferirsi a un’altra città. Così, dopo questo periodo di silenzio affettivo, ho potuto discernere meglio la mia vocazione grazie anche all’aiuto delle suore Serve di Maria che conoscevo da due anni. Al suo ritorno ho manifestato la mia scelta per Gesù e la sua riposta fu: “Contro Lui non si può competere”, e il suo abbraccio fraterno mi ha animato a proseguire in questa decisione. Che devo dire? Il mio sì, da allora, devo ripeterlo giorno dopo giorno. Quello dei 17 anni è stato solo un primo sì, ma se non lo ripeto ogni giorno, soprattutto quando non capisco quello che mi chiede, a niente varrebbe il primo sì. Il mio sogno continua ad essere quello di essere tutta sua: possibilità e debolezze, pregi e limiti, gioie e dolori, e Maria è il mio modello. Nel mio cammino si sono presentate, e si presentano ancora, voci che mi suggeriscono che il mio sogno è ridicolo, cose d’altri secoli; ma la mia fiducia in Lui non viene meno, Lui ha fatto in me grandi cose, così piccola, povera e peccatrice come sono, e quel che a me non è possibile a Lui sì, e io mi fido. La sua pace non è paragonabile a gioie di questo mondo, pur essendo anche queste doni suoi.
 (Sr M. Ada Nelly Velázquez Escobar, Serve di Maria Addolorata di Chioggia)

 Un rapporto di coppia a tre: l’unità che salva
matrimonio_mani «Non anime gemelle, ma una cosa sola». È quello che ci ripeteva un sacerdote che ci seguiva quando facevamo parte di un gruppo di giovani e giovanissimi. Ricordiamo che in quelle occasioni raccoglievamo medicinali da spedire in Africa, oppure organizzavamo delle raccolte fondi per bambini gravemente malati. La nostra gioventù insomma è sempre stata assistita da una presenza che si manifestava in modi diversi: potevamo riconoscerla negli occhi degli anziani ai quali tenevamo compagnia, nei bambini che assistevamo, ma soprattutto negli occhi dell’altro. Non siamo mai stati dei fidanzati modello, i litigi non siamo mai riusciti ad evitarli, persone così diverse ma così bisognose dell’altro. È questo che fin dall’inizio abbiamo sentito: una irrefrenabile necessità l’uno dell’altro. Il nostro sentimento era ancora acerbo, ci mancava qualcosa. «Vuoi sposarmi?» è la domanda che oltre trent’anni fa Felice mi ha posto. Ero poco più che una ragazza, ma non ho esitato a dirgli sì. Non avrei mai potuto sapere fino a dove quel “Sì” ci avrebbe portato. Per entrambi è stato come imbarcarci su una nave, dove al timone non ci sarebbe stato né lui né io, ma una nuova essenza. Abbiamo deciso di suggellare il nostro amore davanti al Signore in un soleggiato giorno di gennaio. Sembra davvero ieri e invece ci accorgiamo che è passato qualche anno di più guardando i volti delle nostre figlie ormai diventate delle giovani donne, i nostri capelli bianchi che ormai non si contano più. Tuttavia i nostri cuori battono ancora all’unisono come quel giorno e riusciamo ancora a stupirci quando guardandoci negli occhi, senza bisogno di parlaci, capiamo già cosa prova l’altro e di cosa ha bisogno.
sposalizio
Il dono dell’unione
È in questo senso che possiamo dire di aver avuto la fortuna e la gioia di aver incontrato Dio. Eravamo là davanti a Lui quando ci siamo scambiati le promesse, forse non sapevamo veramente che da quel giorno avremmo camminato in tre. Abbiamo sempre considerato il matrimonio come il punto di partenza per una nuova vita, dove non sarebbe più esistito un “io”, ma dove tutto si sarebbe evoluto in una pura e semplice comunione, una condivisione che parte dalla quotidianità fino ad arrivare ai meandri dello spirito e raggiungere un senso di completezza. Ancora oggi se ci chiedono quale sia il segreto di un matrimonio felice e duraturo, rispondiamo l’unione. È questa l’unica vera ricetta per una relazione stabile, in quanto le sfide alle quali la vita può sottoporre due coniugi sono infinite e una più dura dell’altra. Solo rimanendo uniti siamo riusciti a superarle. Non è stato facile, in certi momenti, poiché lo sconforto e la tristezza sono sempre dietro l’angolo, pronti a prendere il sopravvento sulla luce, ma bastava invocare il Suo aiuto per non sentirci soli. Il nostro primo obiettivo è sempre stato quello di non escludere mai Dio dalla nostra vita. Eppure a volte ci siamo trovati anche noi a gridare al cielo “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”. Davanti ad alcune difficoltà non siamo riusciti a trovare subito una spiegazione, né a vedere il volto di Cristo, ma ci siamo lasciati andare allo smarrimento e a un’umana delusione. La nostra prima “croce” è stata pesantissima da portare, al momento non ci credevamo pronti. Una sofferenza umana, troppo umana, poiché non abbiamo saputo capire che solo attraverso le sofferenze la fede si rafforza. Solo il credere in Dio con tutte le nostre forze ci ha permesso di guardar oltre i limiti della ristrettezza umana, secondo la quale la morte è la fine di tutto. In cuor nostro abbiamo trovato la forza di vederla come il principio: le nostre future figlie non sarebbero mai state sole, ma sarebbero sempre state protette da un piccolo angelo. Passo dopo passo ci siamo resi conto che il matrimonio è uno dei misteri più grandi in quanto questa unione attraverso mille e più avversità non fa altro che unirci più di prima. Così possiamo dire che per noi questo sacramento è stato ed è tuttora il collante della nostra vita di coppia. È stata una vera e propria alleanza che abbiamo stretto, una fusione eterna, sempre insieme, in una continua comunione anche nella tempesta della vita.
Il dono delle figlie
Non solo di un “noi” è fatto un matrimonio, ma soprattutto di un “loro”, ovvero i figli. Se già rimaniamo stupiti davanti al mistero dell’eterna unione, ancora di più lo siamo quando pensiamo al dono più grande della nostra vita. Indescrivibile l’emozione che abbiamo avuto nel vedere la prima ecografia e nel sentire i primi calci. Come non ricordare la prima volta che abbiamo tenuto tra le braccia le nostre piccole e i loro primi passi, mentre noi le tenevamo per mano. Una vera e propria benedizione: è questo il frutto più grande del nostro matrimonio. Se da una parte c'era stata la presa di coscienza di mettere da parte noi stessi per diventare una cosa sola con il coniuge, dall'altra stavamo capendo che la nostra vita doveva essere dedicata tutta alle nostre figlie. E ancora una volta il Signore ci fa stupire: pensavamo che matrimonio volesse dire solo unione, invece c’è molto di più. Pian piano abbiamo realizzato cosa il Signore ci stava chiedendo. Non solo di vivere nell’amore incondizionato e nel rispetto reciproco, ma ci aveva anche chiesto di formare una nuova famiglia. È stata questa la nostra sfida più grande, la più difficile e impegnativa. Solo crescendo le nostre figlie abbiamo realizzato appieno il verso senso del matrimonio. Abbiamo sempre paragonato l’amore all’acqua: un elemento essenziale per la vita, il quale si può manifestare sotto forme diverse, talvolta è sereno e piatto come un lago, altre agitato e irruento come una cascata, ma sempre immenso come l’oceano. Ci piace pensare che quest’acqua sia mossa dall’alito divino, lo stesso che ha dato vita all’argilla e che ora muove queste onde fino ad incresparle, ma poi tutto ritorna sereno. Acqua, elemento essenziale per la vita, ma se inquinato può diventare mortale e nessuno è in grado di viverci. Basta un eccesso di sale per renderlo invivibile, come il mar Morto. Anche nel matrimonio possono esserci degli eccessi che lo trasformano in qualche cosa di “invivibile”. La malattia principale per noi è rappresentata dall’egoismo. Il rischio di mettere al primo posto se stessi anziché l’altro è sempre dietro l’angolo. Quante volte abbiamo pensato che ci sentivamo trascurati, che avremmo voluto qualcosa di più; in certi momenti siamo arrivati a considerare l’idea che forse non avevamo sposato la persona giusta.
Nel Signore il vero amore
Non ringrazieremo mai abbastanza il Signore per esserci rimasto vicino e averci tenuto per mano, è solo grazie a Lui che noi ora sappiamo tenere per mano le nostre figlie. Il Signore è stato ed è tuttora fonte di salvezza per noi, un rifugio, un porto sicuro dove possiamo rifugiarci quando sentiamo che le forze ci vengono meno e la fede vacilla. Solo in Lui troviamo il vero significato della parola "amore". Un’unione non può nascere in un giorno, la storia ci insegna che niente di buono è stato ottenuto senza sforzi. Sbagliato sarebbe pensare che il giorno del matrimonio è il coronamento di un sogno d’amore, poiché abbiamo avuto la prova sulla nostra pelle che è stato solo l’inizio di un percorso. Ci vogliono impegno, costanza e tanta pazienza per riuscire a raggiungere insieme un obiettivo. Si può cadere, scivolare, persino farsi male, ma solo con tantissima umiltà si può ricominciare a camminare insieme, ripartendo dall’inizio o dal punto in cui ci si era fermati. Senza amore non si può tuttavia trovare la forza di rialzarsi, perché solo esso riesce a donare l’energia necessaria per liberare il cuore dalla schiavitù materialista e renderlo puro. Per noi è stato Cristo l’esempio più grande di amore: totale, assoluto, incondizionato, eterno. La più grande storia d’amore di tutti i tempi: per questo, giorno dopo giorno, cerchiamo di chiedere l’aiuto di Chi ha dimostrato in tutti i modi possibili come si ama, per poter a nostra volta essere testimoni del suo amore.
 (Grazia e Felice Redi)

dall'inserto "Incontra Vocazioni" del settimanale diocesano Nuova Scintilla del 22 aprile 2012







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