"...In Te,Signore, possiedo tutto, poiché ho scelto Te solo al di sopra di tutto..."
sabato 28 aprile 2012
domenica 22 aprile 2012
Rispondere all'amore si può...testimonianze ed esperienze di vocazioni
Rispondere all’amore si può. Lo stupore dell’incontro
Le riflessioni del vescovo Adriano Tessarollo. L’amore, coniugato con la dignità e la libertà

Io penso che l’iniziativa di amore sia proposta incondizionata di unire la tua vita a quella dell’altro, senza condizioni, senza misurare se l’altro, come un paio di scarpe, ti calza bene, se non ti stringe in alcun modo. Con le cose si può prendere come criterio quello del ‘mi piace’ e ‘finché mi piace’, altrimenti le butto e le cambio. Non così con le persone. E Dio tratta da persone coloro che chiama, rispettandone la dignità e la libertà. Nella Bibbia abbiamo diverse persone che raccontano di come si sono sentite ‘amate’ dal Signore e di come essi hanno risposto alla sua proposta d’amore. Questi racconti sono solitamente definiti ‘racconti di vocazione’. Ne ascoltiamo uno:
“Prima di formarti nel grembo materno, ti ho conosciuto, prima che tu uscissi alla luce, ti ho consacrato;
ti ho stabilito profeta delle nazioni". Risposi: "Ahimè, Signore Dio! Ecco, io non so parlare, perché sono giovane". Ma il Signore mi disse: "Non dire: "Sono giovane". Tu andrai da tutti coloro a cui ti manderò
e dirai tutto quello che io ti ordinerò. Non aver paura di fronte a loro, perché io sono con te per proteggerti". (Ger 1,5-8).
Un giovane di nome Geremia, dopo che da qualche anno aveva svolto la missione di portatore della Parola di Dio tra la sua gente (profeta), entra in crisi e non vorrebbe più continuare. Quella missione gli sta procurando fastidi, rifiuti e persecuzioni vere e proprie da parte della gente cui si rivolgeva, persino da parte dei suoi familiari. Quante notti ha passato per maturare una scelta e dire: “"Non penserò più a lui, non parlerò più nel suo nome!" (Ger 20,9). Ma ecco che mentre medita queste cose si accende nel suo cuore una luce che lo porta a comprendere in profondità ciò che ha vissuto finora e che ora sta vivendo. Perché ha fatto quella scelta? È stata una sua iniziativa, che ora decide di abbandonare? Ecco come il Signore gli fa comprendere la sua scelta: “Prima di formarti nel grembo materno, io ti ho conosciuto, prima che tu uscissi alla luce, io ti ho consacrato; ti ho stabilito profeta delle nazioni". Ma guarda un po’! È stato Dio che mi ha scelto, che mi ha destinato a questa missione, che mi ha fatto suo portavoce, fidandosi di me, ancora giovane e neanche tanto buon parlatore! Però egli ha sentito tutta la forza rassicurante di Dio a fronte del compito che gli affidava: “Non aver paura di fronte a loro, perché io sono con te per proteggerti". Geremia ha capito dunque che quella ‘chiamata’ era per Dio stesso un impegno a ‘stare con lui’ in ogni nuova situazione bella o brutta che avesse incontrato. L’amore di Dio è proposta che manifesta fiducia, stima, coinvolgimento, offerta di compagnia, sostegno, fedeltà. Tutta questa fiducia e amore offerti ancora prima di essere ‘provati’ desta certamente sorpresa e stupore. Il giovane Geremia risponde: “"Ahimè, Signore Dio! Ecco, io non so parlare, perché sono giovane". Ma ecco la sua risposta a quell’atto di fiducia e di amore: “Mi hai sedotto, Signore, e io mi sono lasciato sedurre (20,7); Quando le tue parole mi vennero incontro, le divorai con avidità; la tua parola fu la gioia e la letizia del mio cuore…” (15,16)
Anche una ragazza di Nazaret, di nome Maria, di fronte alla inattesa dichiarazione di stima e d’amore del Signore “Rallégrati, piena di grazia: il Signore è con te… Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio" (Lc 1,28-30) e all’impensabile proposta: “Ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù” (Lc 1,31), rimane stupita e meravigliata. Ma anche la sua risposta è stata: “Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola" (Lc 1,38).
Vocazione è incontrare il Signore, come Samuele, come Isaia ecc… Come gli Apostoli, come san Paolo… e sentirsi scelti e inviati perché amati. Ma vocazione è insieme rispondere, se pur stupiti della proposta, al suo amore, contando fortemente su quell’amore, come scrive san Paolo: “So infatti in chi ho posto la mia fede e sono convinto che egli è capace di custodire fino a quel giorno ciò che mi è stato affidato”(2 Tm 1,12).
Anche oggi a ragazzi, ragazze, giovani e adulti il Signore continua a proporsi e a proporre l’amore da vivere in tanti modi. Speriamo di non meritare anche noi i rimproveri, ricordati dai profeti Isaia, ”Io avevo chiamato e nessuno ha risposto, avevo parlato e nessuno ha udito”(Is 66,4), e Geremia, “Ho parlato loro e non mi hanno ascoltato, li ho chiamati e non hanno risposto" (Ger 35,17).
Apriamo allora senza paura orecchi e cuore al Signore che chiama e rispondiamo al suo amore.
Egli ci stupirà!
Saluto e benedico tutti.
+ vescovo Adriano Tessarollo
Uno sguardo singolare

(don Damiano Vianello)
Chi sei, Gesù?

(don Paolo De Cillia, religioso salesiano)
La gioia del sì per sempre

(Alessandra Agatea, in cammino nell'Ordo Virginum)
Gesù è anche lì


Frequentando i poveri ho ricevuto moltissimo e mi sento debitrice verso tanti fratelli che ho incontrato in questi anni di missione perché mi hanno aiutata ad andare sempre oltre: aldilà della mia indifferenza per aprirmi a una relazione più vera con ogni fratello; aldilà del mio egoismo per scoprire la bellezza del dono condiviso; aldilà delle mie paure per vivere la libertà che ti fa stare bene ovunque senza limiti di cultura, razza, lingua, in una fraternità universale.
Nella vocazione missionaria mi sento realizzata come donna e come consacrata e ringrazio il Signore che mi ha scelta, nonostante la mia piccolezza, per essere un segno del suo amore tra i fratelli.
(Sr M. Antonella Zanini, Serva di Maria Addolorata di Chioggia, Missionaria in Burundi)
“Tutta sua”

Ma un sogno si è insediato in me ancora bambina, all’età di sette anni, quando per la prima volta conobbi due suore. Il loro modo di vestire ha suscitato la domanda in me del perché vestire così? L’ho chiesto a mio papà, la sua risposta è stata: “Significa che tutta la loro persona è donata a Dio e Dio può operare attraverso loro”. In quell’anno feci la mia prima comunione e ho chiesto a Gesù, nella mia ingenuità, che mi facesse sua per sempre. Col passare degli anni, soprattutto nell’adolescenza, ho cercato di allontanare da me un tale pensiero.Comunque a 16 anni, il sogno di essere tutta per Gesù e per i poveri è ritornato a me con grande forza, quando lessi una piccola biografia di santa Teresa del Bambino Gesù e del Santo Volto e vidi, in televisione, un servizio su madre Teresa di Calcutta, ancora in vita. Volevo una vita così piena di significato. Avevo da poco cominciato un rapporto con un ragazzo del gruppo parrocchiale e compagno di scuola, ma non potevo più sognarmi felicemente sposata, pur volendogli bene. Ho condiviso con lui questa inquietudine che apriva una breccia nel mio cuore, lui mi ha detto che nel momento in cui fossi stata sicura di quel che volevo, lui avrebbe rispettato la mia decisione; ma la scelta tra lui e Gesù era difficile, per cui il Signore ha deciso di darmi una mano, e per motivi di studio lui ha dovuto trasferirsi a un’altra città. Così, dopo questo periodo di silenzio affettivo, ho potuto discernere meglio la mia vocazione grazie anche all’aiuto delle suore Serve di Maria che conoscevo da due anni. Al suo ritorno ho manifestato la mia scelta per Gesù e la sua riposta fu: “Contro Lui non si può competere”, e il suo abbraccio fraterno mi ha animato a proseguire in questa decisione. Che devo dire? Il mio sì, da allora, devo ripeterlo giorno dopo giorno. Quello dei 17 anni è stato solo un primo sì, ma se non lo ripeto ogni giorno, soprattutto quando non capisco quello che mi chiede, a niente varrebbe il primo sì. Il mio sogno continua ad essere quello di essere tutta sua: possibilità e debolezze, pregi e limiti, gioie e dolori, e Maria è il mio modello. Nel mio cammino si sono presentate, e si presentano ancora, voci che mi suggeriscono che il mio sogno è ridicolo, cose d’altri secoli; ma la mia fiducia in Lui non viene meno, Lui ha fatto in me grandi cose, così piccola, povera e peccatrice come sono, e quel che a me non è possibile a Lui sì, e io mi fido. La sua pace non è paragonabile a gioie di questo mondo, pur essendo anche queste doni suoi.
(Sr M. Ada Nelly Velázquez Escobar, Serve di Maria Addolorata di Chioggia)
Un rapporto di coppia a tre: l’unità che salva


Il dono dell’unione
È in questo senso che possiamo dire di aver avuto la fortuna e la gioia di aver incontrato Dio. Eravamo là davanti a Lui quando ci siamo scambiati le promesse, forse non sapevamo veramente che da quel giorno avremmo camminato in tre. Abbiamo sempre considerato il matrimonio come il punto di partenza per una nuova vita, dove non sarebbe più esistito un “io”, ma dove tutto si sarebbe evoluto in una pura e semplice comunione, una condivisione che parte dalla quotidianità fino ad arrivare ai meandri dello spirito e raggiungere un senso di completezza. Ancora oggi se ci chiedono quale sia il segreto di un matrimonio felice e duraturo, rispondiamo l’unione. È questa l’unica vera ricetta per una relazione stabile, in quanto le sfide alle quali la vita può sottoporre due coniugi sono infinite e una più dura dell’altra. Solo rimanendo uniti siamo riusciti a superarle. Non è stato facile, in certi momenti, poiché lo sconforto e la tristezza sono sempre dietro l’angolo, pronti a prendere il sopravvento sulla luce, ma bastava invocare il Suo aiuto per non sentirci soli. Il nostro primo obiettivo è sempre stato quello di non escludere mai Dio dalla nostra vita. Eppure a volte ci siamo trovati anche noi a gridare al cielo “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”. Davanti ad alcune difficoltà non siamo riusciti a trovare subito una spiegazione, né a vedere il volto di Cristo, ma ci siamo lasciati andare allo smarrimento e a un’umana delusione. La nostra prima “croce” è stata pesantissima da portare, al momento non ci credevamo pronti. Una sofferenza umana, troppo umana, poiché non abbiamo saputo capire che solo attraverso le sofferenze la fede si rafforza. Solo il credere in Dio con tutte le nostre forze ci ha permesso di guardar oltre i limiti della ristrettezza umana, secondo la quale la morte è la fine di tutto. In cuor nostro abbiamo trovato la forza di vederla come il principio: le nostre future figlie non sarebbero mai state sole, ma sarebbero sempre state protette da un piccolo angelo. Passo dopo passo ci siamo resi conto che il matrimonio è uno dei misteri più grandi in quanto questa unione attraverso mille e più avversità non fa altro che unirci più di prima. Così possiamo dire che per noi questo sacramento è stato ed è tuttora il collante della nostra vita di coppia. È stata una vera e propria alleanza che abbiamo stretto, una fusione eterna, sempre insieme, in una continua comunione anche nella tempesta della vita.
Il dono delle figlie
Non solo di un “noi” è fatto un matrimonio, ma soprattutto di un “loro”, ovvero i figli. Se già rimaniamo stupiti davanti al mistero dell’eterna unione, ancora di più lo siamo quando pensiamo al dono più grande della nostra vita. Indescrivibile l’emozione che abbiamo avuto nel vedere la prima ecografia e nel sentire i primi calci. Come non ricordare la prima volta che abbiamo tenuto tra le braccia le nostre piccole e i loro primi passi, mentre noi le tenevamo per mano. Una vera e propria benedizione: è questo il frutto più grande del nostro matrimonio. Se da una parte c'era stata la presa di coscienza di mettere da parte noi stessi per diventare una cosa sola con il coniuge, dall'altra stavamo capendo che la nostra vita doveva essere dedicata tutta alle nostre figlie. E ancora una volta il Signore ci fa stupire: pensavamo che matrimonio volesse dire solo unione, invece c’è molto di più. Pian piano abbiamo realizzato cosa il Signore ci stava chiedendo. Non solo di vivere nell’amore incondizionato e nel rispetto reciproco, ma ci aveva anche chiesto di formare una nuova famiglia. È stata questa la nostra sfida più grande, la più difficile e impegnativa. Solo crescendo le nostre figlie abbiamo realizzato appieno il verso senso del matrimonio. Abbiamo sempre paragonato l’amore all’acqua: un elemento essenziale per la vita, il quale si può manifestare sotto forme diverse, talvolta è sereno e piatto come un lago, altre agitato e irruento come una cascata, ma sempre immenso come l’oceano. Ci piace pensare che quest’acqua sia mossa dall’alito divino, lo stesso che ha dato vita all’argilla e che ora muove queste onde fino ad incresparle, ma poi tutto ritorna sereno. Acqua, elemento essenziale per la vita, ma se inquinato può diventare mortale e nessuno è in grado di viverci. Basta un eccesso di sale per renderlo invivibile, come il mar Morto. Anche nel matrimonio possono esserci degli eccessi che lo trasformano in qualche cosa di “invivibile”. La malattia principale per noi è rappresentata dall’egoismo. Il rischio di mettere al primo posto se stessi anziché l’altro è sempre dietro l’angolo. Quante volte abbiamo pensato che ci sentivamo trascurati, che avremmo voluto qualcosa di più; in certi momenti siamo arrivati a considerare l’idea che forse non avevamo sposato la persona giusta.
Nel Signore il vero amore
Non ringrazieremo mai abbastanza il Signore per esserci rimasto vicino e averci tenuto per mano, è solo grazie a Lui che noi ora sappiamo tenere per mano le nostre figlie. Il Signore è stato ed è tuttora fonte di salvezza per noi, un rifugio, un porto sicuro dove possiamo rifugiarci quando sentiamo che le forze ci vengono meno e la fede vacilla. Solo in Lui troviamo il vero significato della parola "amore". Un’unione non può nascere in un giorno, la storia ci insegna che niente di buono è stato ottenuto senza sforzi. Sbagliato sarebbe pensare che il giorno del matrimonio è il coronamento di un sogno d’amore, poiché abbiamo avuto la prova sulla nostra pelle che è stato solo l’inizio di un percorso. Ci vogliono impegno, costanza e tanta pazienza per riuscire a raggiungere insieme un obiettivo. Si può cadere, scivolare, persino farsi male, ma solo con tantissima umiltà si può ricominciare a camminare insieme, ripartendo dall’inizio o dal punto in cui ci si era fermati. Senza amore non si può tuttavia trovare la forza di rialzarsi, perché solo esso riesce a donare l’energia necessaria per liberare il cuore dalla schiavitù materialista e renderlo puro. Per noi è stato Cristo l’esempio più grande di amore: totale, assoluto, incondizionato, eterno. La più grande storia d’amore di tutti i tempi: per questo, giorno dopo giorno, cerchiamo di chiedere l’aiuto di Chi ha dimostrato in tutti i modi possibili come si ama, per poter a nostra volta essere testimoni del suo amore.
(Grazia e Felice Redi)
dall'inserto "Incontra Vocazioni" del settimanale diocesano Nuova Scintilla del 22 aprile 2012
venerdì 13 aprile 2012
Chiara, invito perenne a cercare in Dio la vera gioia
Questa lieta circostanza mi spinge a tornare idealmente ad Assisi, per riflettere con Lei, venerato Fratello, e la comunità affidataLe, e, parimenti, con i figli di san Francesco e le figlie di santa Chiara, sul senso di quell’evento. Esso infatti parla anche alla nostra generazione, e ha un fascino soprattutto per i giovani, ai quali va il mio affettuoso pensiero in occasione della Giornata Mondiale della Gioventù, celebrata quest’anno, secondo la consuetudine, nelle Chiese particolari proprio in questo giorno della Domenica delle Palme.
Della sua scelta radicale di Cristo è la Santa stessa, nel suo Testamento, a parlare in termini di «conversione» (cfr FF 2825). E’ da questo aspetto che mi piace partire, quasi riprendendo il filo del discorso svolto in riferimento alla conversione di Francesco il 17 giugno 2007, quando ebbi la gioia di visitare codesta Diocesi. La storia della conversione di Chiara ruota intorno alla festa liturgica della Domenica delle Palme. Scrive infatti il suo biografo: «Era prossimo il giorno solenne delle Palme, quando la giovane si recò dall’uomo di Dio per chiedergli della sua conversione, quando e in che modo dovesse agire. Il padre Francesco ordina che nel giorno della festa, elegante e ornata, si rechi alle Palme in mezzo alla folla del popolo, e poi la notte seguente, uscendo fuori dalla città, converta la gioia mondana nel lutto della domenica di Passione. Giunto dunque il giorno di domenica, in mezzo alle altre dame, la giovane, splendente di luce festiva, entra con le altre in chiesa. Qui, con degno presagio, avvenne che, mentre gli altri correvano a ricevere le palme, Chiara, per verecondia, rimase immobile e allora il Vescovo, scendendo i gradini, giunse fino a lei e pose la palma nelle sue mani» (Legenda Sanctae Clarae virginis, 7: FF 3168).
Erano passati circa sei anni da quando il giovane Francesco aveva imboccato la via della santità. Nelle parole del Crocifisso di San Damiano – «Va’, Francesco, ripara la mia casa» –, e nell’abbraccio ai lebbrosi, volto sofferente di Cristo, aveva trovato la sua vocazione. Ne era scaturito il liberante gesto dello «spogliamento» alla presenza del Vescovo Guido. Tra l’idolo del denaro a lui proposto dal padre terreno, e l’amore di Dio che prometteva di riempirgli il cuore, non aveva avuto dubbi, e con slancio aveva esclamato: «D’ora in poi potrò dire liberamente: Padre nostro, che sei nei cieli, non padre Pietro di Bernardone» (Vita Seconda, 12: FF 597). La decisione di Francesco aveva sconcertato la Città. I primi anni della sua nuova vita furono segnati da difficoltà, amarezze e incomprensioni. Ma molti cominciarono a riflettere. Anche la giovane Chiara, allora adolescente, fu toccata da quella testimonianza. Dotata di spiccato senso religioso, venne conquistata dalla «svolta» esistenziale di colui che era stato il «re delle feste». Trovò il modo di incontrarlo e si lasciò coinvolgere dal suo ardore per Cristo. Il biografo tratteggia il giovane convertito mentre istruisce la nuova discepola: «Il padre Francesco la esortava al disprezzo del mondo, dimostrandole, con una parola viva, che la speranza in questo mondo è arida e porta delusione, e le instillava alle orecchie il dolce connubio di Cristo» (Vita Sanctae Clarae Virginis, 5: FF 3164).
Secondo il Testamento di Santa Chiara, ancor prima di ricevere altri compagni, Francesco aveva profetizzato il cammino della sua prima figlia spirituale e delle sue consorelle. Mentre infatti lavorava per il restauro della chiesa di San Damiano, dove il Crocifisso gli aveva parlato, aveva annunciato che quel luogo sarebbe stato abitato da donne che avrebbero glorificato Dio col loro santo tenore di vita (cfr FF 2826; cfr Tommaso da Celano, Vita seconda, 13: FF 599). Il Crocifisso originale si trova ora nella Basilica di Santa Chiara. Quei grandi occhi di Cristo che avevano affascinato Francesco, diventarono lo «specchio» di Chiara. Non a caso il tema dello specchio le risulterà così caro e, nella IV lettera ad Agnese di Praga, scriverà: «Guarda ogni giorno questo specchio, o regina sposa di Gesù Cristo, e in esso scruta continuamente il tuo volto» (FF 2902). Negli anni in cui incontrava Francesco per apprendere da lui il cammino di Dio, Chiara era una ragazza avvenente. Il Poverello di Assisi le mostrò una bellezza superiore, che non si misura con lo specchio della vanità, ma si sviluppa in una vita di autentico amore, sulle orme di Cristo crocifisso. Dio è la vera bellezza! Il cuore di Chiara si illuminò a questo splendore, e ciò le diede il coraggio di lasciarsi tagliare le chiome e cominciare una vita penitente. Per lei, come per Francesco, questa decisione fu segnata da molte difficoltà. Se alcuni familiari non tardarono a comprenderla, e addirittura la madre Ortolana e due sorelle la seguirono nella sua scelta di vita, altri reagirono violentemente. La sua fuga da casa, nella notte tra la Domenica delle Palme e il Lunedì santo, ebbe dell’avventuroso. Nei giorni seguenti fu inseguita nei luoghi in cui Francesco le aveva preparato un rifugio e invano si tentò, anche con la forza, di farla recedere dal suo proposito.
A questa lotta Chiara si era preparata. E se Francesco era la sua guida, un sostegno paterno le veniva anche dal Vescovo Guido, come più di un indizio suggerisce. Si spiega così il gesto del Presule che le si avvicinò per offrirle la palma, quasi a benedire la sua scelta coraggiosa. Senza l’appoggio del Vescovo, difficilmente si sarebbe potuto realizzare il progetto ideato da Francesco ed attuato da Chiara, sia nella consacrazione che questa fece di se stessa nella chiesa della Porziuncola alla presenza di Francesco e dei suoi frati, sia nell’ospitalità che ella ricevette nei giorni successivi nel monastero di San Paolo delle Abbadesse e nella comunità di Sant’Angelo in Panzo, prima dell’approdo definitivo a San Damiano. La vicenda di Chiara, come quella di Francesco, mostra così un particolare tratto ecclesiale. In essa si incontrano un Pastore illuminato e due figli della Chiesa che si affidano al suo discernimento. Istituzione e carisma interagiscono stupendamente. L’amore e l’obbedienza alla Chiesa, tanto rimarcati nella spiritualità francescano-clariana, affondano le radici in questa bella esperienza della comunità cristiana di Assisi, che non solo generò alla fede Francesco e la sua «pianticella», ma anche li accompagnò per mano sulla via della santità.
Francesco aveva ben visto la ragione per suggerire a Chiara la fuga da casa agli inizi della Settimana Santa. Tutta la vita cristiana, e dunque anche la vita di speciale consacrazione, sono un frutto del Mistero pasquale e una partecipazione alla morte e alla risurrezione di Cristo. Nella liturgia della Domenica delle Palme dolore e gloria si intrecciano, come un tema che si andrà poi sviluppando nei giorni successivi attraverso il buio della Passione fino alla luce della Pasqua. Chiara, con la sua scelta, rivive questo mistero. Il giorno delle Palme ne riceve, per così dire, il programma. Entra poi nel dramma della Passione, deponendo i suoi capelli, e con essi rinunciando a tutta se stessa per essere sposa di Cristo nell’umiltà e nella povertà. Francesco e i suoi compagni sono ormai la sua famiglia. Presto arriveranno consorelle anche da lontano, ma i primi germogli, come nel caso di Francesco, spunteranno proprio in Assisi. E la Santa resterà sempre legata alla sua Città, mostrandolo specialmente in alcune circostanze difficili, quando la sua preghiera risparmiò ad Assisi violenza e devastazione. Disse allora alle consorelle: «Da questa città, carissime figlie, abbiamo ricevuto ogni giorno molti beni; sarebbe molto empio se non le prestassimo soccorso come possiamo nel tempo opportuno» (Legenda Sanctae Clarae Virginis 23: FF 3203).
Nel suo significato profondo, la «conversione» di Chiara è una conversione all’amore. Ella non avrà più gli abiti raffinati della nobiltà di Assisi, ma l’eleganza di un’anima che si spende nella lode di Dio e nel dono di sé. Nel piccolo spazio del monastero di San Damiano, alla scuola di Gesù Eucaristia contemplato con affetto sponsale, si andranno sviluppando giorno dopo giorno i tratti di una fraternità regolata dall’amore a Dio e dalla preghiera, dalla premura e dal servizio. E’ in questo contesto di fede profonda e di grande umanità che Chiara si fa sicura interprete dell’ideale francescano, implorando quel «privilegio» della povertà, ossia la rinuncia a possedere anche solo comunitariamente dei beni, che lasciò a lungo perplesso lo stesso Sommo Pontefice, il quale alla fine si arrese all’eroismo della sua santità.
Come non proporre Chiara, al pari di Francesco, all’attenzione dei giovani d’oggi? Il tempo che ci separa dalla vicenda di questi due Santi non ha sminuito il loro fascino. Al contrario, se ne può vedere l’attualità al confronto con le illusioni e le delusioni che spesso segnano l’odierna condizione giovanile. Mai un tempo ha fatto sognare tanto i giovani, con le mille attrattive di una vita in cui tutto sembra possibile e lecito. Eppure, quanta insoddisfazione è presente, quante volte la ricerca di felicità, di realizzazione finisce per imboccare strade che portano a paradisi artificiali, come quelli della droga e della sensualità sfrenata! Anche la situazione attuale con la difficoltà di trovare un lavoro dignitoso e di formare una famiglia unita e felice, aggiunge nubi all’orizzonte. Non mancano però giovani che, anche ai nostri giorni, raccolgono l’invito ad affidarsi a Cristo e ad affrontare con coraggio, responsabilità e speranza il cammino della vita, anche operando la scelta di lasciare tutto per seguirlo nel totale servizio a Lui e ai fratelli. La storia di Chiara, insieme a quella di Francesco, è un invito a riflettere sul senso dell’esistenza e a cercare in Dio il segreto della vera gioia. E’ una prova concreta che chi compie la volontà del Signore e confida in Lui non solo non perde nulla, ma trova il vero tesoro capace di dare senso a tutto.
A Lei, venerato Fratello, a codesta Chiesa che ha l’onore di aver dato i natali a Francesco e a Chiara, alle Clarisse, che mostrano quotidianamente la bellezza e la fecondità della vita contemplativa, a sostegno del cammino di tutto il Popolo di Dio, e ai Francescani di tutto il mondo, a tanti giovani in ricerca e bisognosi di luce, consegno questa breve riflessione. Mi auguro che essa contribuisca a far riscoprire sempre di più queste due luminose figure del firmamento della Chiesa. Con un particolare pensiero alle figlie di santa Chiara del Protomonastero, degli altri monasteri di Assisi e del mondo intero, imparto di cuore a tutti la mia Benedizione Apostolica.
Benedetto XVI
da www.avvenire.it
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